La storia eruttiva dell’Etna in 3D

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Realizzata per la prima volta una modellazione 3D della struttura geologica dell’Etna che fornisce una nuova ipotesi sul quadro evolutivo del vulcano. A divulgare i risultati uno studio condotto da INGV e Università di Catania, pubblicato sulla rivista Tectonics dell’American Geophysical Union

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Il cratere di nord-est, ripreso il 10 marzo 2018

Roma, 16 marzo 2018 – Una modellazione 3D della struttura geologica dell’Etna ha permesso di calcolare, con più precisione, il volume dell’edificio vulcanico e ricostruire la variazione nel tempo del tasso eruttivo. A metterla a punto un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Etneo (INGV-OE) e dell’Università di Catania-Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali (DSBGA).

Lo studio, Three-dimensional modeling of Mount Etna volcano: volume assessment, trend of eruption rates and geodynamic significance, pubblicato su Tectonics dell’American Geophysical Union, fornisce anche una nuova ipotesi sul quadro evolutivo del vulcano, strettamente connesso ai drastici cambiamenti geodinamici che hanno interessato la Sicilia orientale, durante la formazione e crescita del Monte Etna.

Una prima ricostruzione dell’assetto morfologico e strutturale del basamento sedimentario del Monte Etna era stata sviluppata già in un precedente lavoro (The morphostructural setting of Mount Etna sedimentary basement (Italy): Implications for the geometry and volume of the volcano and its flank instability.

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Sezioni geologiche schematiche (A-B) e relativi modelli 3-D con vista prospettica dal NO del sistema crosta/astenosfera sotto l’Etna e sotto il settore occidentale dell’arco eoliano. In (A) è rappresentato l’assetto geologico durante il medio-tardo Pleistocene, periodo in cui era ancora attivo il vulcanismo delle isole di Alicudi e Filicudi. In (B) è rappresentato l’assetto geologico attuale che mostra la presenza della finestra astenosferica tra l’area etnea e quella eoliana responsabile della recente contaminazione fra le due sorgenti magmatiche

“Partendo proprio dai dati del basamento sedimentario e da quelli della recente cartografia geologica del vulcano – spiega Stefano Branca, vulcanologo dell’INGV-OE – sono state ricostruite in 3D le strutture vulcaniche che si sono formate e sovrapposte a partire dagli ultimi 220.000 anni e che nel complesso hanno portato alla formazione del grande strato-vulcano del Monte Etna, il cui volume è pari a circa 535 km3”.

La modellazione 3D ha permesso di ricostruire l’evoluzione morfologica del vulcano, durante le principali fasi di crescita dell’edificio etneo, mostrando i centri eruttivi della Valle del Bove, attivi fra circa 110.000 e 65.000 anni fa. E ha, inoltre, illustrato la struttura che si è sviluppata durante gli ultimi 60.000 anni, con la formazione del principale centro eruttivo, conosciuto come vulcano Ellittico, che circa 20.000 anni fa aveva raggiunto un’altezza di 3.600 m. I volumi emessi nel periodo di tempo analizzato hanno consentito di determinare l’andamento del tasso eruttivo dell’Etna, evidenziando un drastico aumento negli ultimi 15.000 anni, periodo in cui si è formato l’edificio attuale denominato vulcano Mongibello.

“Il confronto dei tassi eruttivi medi delle singole fasi etnee con quelli di altri sistemi vulcanici, localizzati in diversi ambienti geodinamici in tutto il mondo, ha evidenziato come negli ultimi 60.000 anni, cioè con la formazione dei vulcani Ellittico e Mongibello, i tassi eruttivi hanno raggiunto un valore prossimo a quello dei vulcani di arco oceanico (come quelli della cintura di fuoco del Pacifico), sebbene l’Etna sia considerato un tipico vulcano intraplacca”, prosegue il vulcanologo.

Tale risultato è in accordo con alcuni recenti studi che hanno mostrato una possibile evoluzione della sorgente magmatica dell’Etna verso un vulcanismo di tipo arco insulare, come ad esempio quello delle Isole Eolie.

“Infatti, la porzione di crosta in subduzione, al di sotto del settore calabro-peloritano e del mar Tirreno, ha subito, durante il Pleistocene medio, una lacerazione che ha permesso al mantello dall’area dell’arco eoliano di fluire verso sud nella regione del Monte Etna”, conclude Branca.

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