Intervista al prof. Giovanni Rezza, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, Istituto Superiore di Sanità
Prof. Rezza, a proposito di Resistenza Antimicrobica, può descriverci la situazione epidemiologica in Italia?
L’Italia è uno dei Paesi più problematici, in Europa, per quanto riguarda lo sviluppo di resistenze agli antibiotici. Veniamo dopo Romania e Bulgaria: peggio del nostro Paese, solo la Grecia.
La situazione è migliorata per quanto riguarda lo stafilococco, in quanto la prevalenza di ceppi batterici resistenti è leggermente scesa. Tuttavia persiste il grave problema dei batteri GRAM-, come Acinetobacter, Escherichia coli o come la Klebsiella pneumoniae: un batterio presente in maniera consistente nei reparti di terapia intensiva, che ha già mostrato resistenze alle cefalosporine e ai carbapenemi e che oggi viene trattato, come ultima spiaggia, con antibiotici considerati desueti, come la colistina, considerato ormai un salvavita. Purtroppo però abbiamo già avuto evidenze di ceppi resistenti anche a questo farmaco.
Questa è la situazione rilevata, lo scorso anno, anche nel corso dell’ultima visita in Italia dell’European Center for Diseases Control (ECDC), secondo cui resta ancora molto da fare per giungere a una reale armonizzazione delle strategie in atto in Italia. Infatti, accanto a realtà virtuose e da anni impegnate nelle attività di sorveglianza e controllo dell’AMR e delle Infezioni correlate all’assistenza (ICA), ve ne sono altre in cui le misure di contrasto alle resistenze antimicrobiche sono poco organizzate e poco efficaci.
Per fare fronte a questa problematica, il Ministero della Salute ha messo a punto un Piano Nazionale di Contrasto all’AMR (PNCAR), i cui effetti potranno essere valutati nel tempo.
Lo scenario attuale, che vede un progressivo aumento delle resistenze e una conseguente perdita di efficacia degli antibiotici attualmente a disposizione, può essere reversibile? Quali sono, a suo avviso, le misure prioritarie da mettere in atto per contrastare il fenomeno della resistenza antimicrobica?
Lo scenario potrebbe essere reversibile. Lo dimostrano i casi dell’Inghilterra, che ha saputo instaurare politiche efficaci per gestire le resistenze da Stafilococco, così come hanno fatto l’Olanda e altri Paesi del nord Europa.
Naturalmente servono programmi efficaci che consentano di garantire il rispetto di protocolli severi riguardo, ad esempio, all’igiene. Lavarsi accuratamente le mani e cambiare i guanti prima di intraprendere una qualsiasi procedura medica su un paziente dovrebbe essere una norma inderogabile.
Un altro aspetto fondamentale è l’applicazione della Stewardship Antimicrobica, ossia dell’appropriatezza nella prescrizione degli antibiotici, in particolare in ambito ospedaliero che è il contesto principale nel quale si generano le resistenze.
E poi, naturalmente, è auspicabile un aumento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo, perché è certamente importante preservare, per il maggior tempo possibile, l’efficacia degli antibiotici a disposizione, ma la storia insegna anche che lo sviluppo delle resistenze è inevitabile e solo l’introduzione di nuovi antibiotici può rispondere a questa impellente necessità.