Adattamenti genetici a una dieta a base di riso riducono rischio di obesità e diabete. Studio dell’Università di Bologna

Bologna, 14 settembre 2020 – La tradizionale dieta a base di riso adottata da alcune popolazioni dell’Estremo Oriente ha portato ad una serie di adattamenti genetici che potrebbero contribuire a ridurre la diffusione di diabete e obesità. A proporlo è uno studio internazionale coordinato da ricercatori dell’Università di Bologna e pubblicato sulla rivista Evolutionary Applications, che ha analizzato e messo a confronto il genoma di oltre duemila individui appartenenti a 124 popolazioni est-asiatiche e sud-asiatiche.

“È plausibile ipotizzare che alcune popolazioni est-asiatiche, i cui antenati hanno iniziato a consumare abitualmente riso almeno diecimila anni fa, abbiano evoluto adattamenti genetici in grado di mitigare gli effetti dannosi che un regime alimentare caratterizzato da un elevato carico glicemico può avere sul metabolismo”, dice Marco Sazzini, professore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio.

“Inoltre – prosegue Sazzini – è ragionevole pensare che tali adattamenti continuino a proteggere queste popolazioni anche oggi, ad esempio dai danni arrecati dalle profonde modificazioni della loro dieta dovute ai processi di globalizzazione e all’occidentalizzazione degli stili di vita, che hanno portato ad un sempre maggiore consumo di cibi contenenti zuccheri raffinati e ad elevato indice glicemico”.

Riso e indice glicemico
Tra tutti i cereali che hanno subito un processo di domesticazione da parte dell’uomo, il riso è quello con il più alto contenuto di carboidrati e il maggiore indice glicemico, ovvero la maggiore capacità di innalzare il livello di zucchero nel sangue una volta ingerito. Un suo consumo abbondante e abituale rappresenta per questo un fattore di rischio per lo sviluppo di insulino-resistenza e di malattie metaboliche, a partire dal diabete di tipo 2.

Guardando però alle popolazioni asiatiche che utilizzano il riso come elemento principale della loro dieta, scopriamo che l’incidenza di diabete e obesità è maggiore tra i popoli del subcontinente indiano rispetto a quelli dell’Asia orientale. A cosa può essere dovuta questa differenza?

Una dieta antichissima
Un primo indizio arriva da numerosi ritrovamenti archeobotanici dai quali emerge che in alcune regioni dell’Estremo Oriente – ad esempio lungo la valle del fiume Yangtze, nella Cina orientale – il riso selvatico era consumato abitualmente a partire già da 12.000 anni fa. E in seguito, con la sua domesticazione e con l’introduzione delle tecniche agricole necessarie per coltivarlo, tra 7.000 e 6.000 anni fa, si è rapidamente diffuso anche in Corea e in Giappone. Nelle regioni settentrionali del subcontinente indiano, invece, un processo di domesticazione indipendente si sarebbe verificato solo a partire da 4.000 anni fa e avrebbe portato alla selezione di varietà di riso con un minore indice glicemico rispetto a quelle orientali.

“Le diverse varietà di riso consumate e le svariate migliaia di anni in più di dieta a base di riso che hanno caratterizzato alcune popolazioni della Cina, della Corea e del Giappone potrebbe averle sottoposte ad uno stress metabolico molto più prolungato e intenso rispetto a quello sperimentato dalle popolazioni dell’Asia meridionale – spiega Arianna Landini, dottoranda dell’Università di Edimburgo e prima autrice dello studio – E questo potrebbe aver permesso loro di evolvere degli adattamenti genetici in grado di ridurre il rischio di sviluppare patologie associate ad una dieta caratterizzata da un elevato carico glicemico”.

Riso e adattamenti genetici
Per verificare questa ipotesi, i ricercatori hanno analizzato il patrimonio genetico di oltre duemila individui appartenenti a 124 popolazioni di ancestralità est-asiatica e sud-asiatica, confrontando i risultati ottenuti per le popolazioni cinesi di etnia Han e Tujia e di Corea e Giappone (quelle che hanno adottato più anticamente il riso come principale risorsa nutritiva) con quelli relativi a popoli originari del Pakistan, di diverse regioni dell’India, del Bangladesh, del Myanmar, del Vietnam e del sud-est asiatico. Queste ultime sono state utilizzate come popolazioni di controllo, dato che si cibano abitualmente di riso solo da poche migliaia di anni.

“Gli adattamenti genetici osservati nelle popolazioni di controllo sono risultati assai diversi rispetto a quelli evoluti dai gruppi dell’Asia orientale e non sono riconducibili a stress dovuti ad un particolare regime alimentare – dice Claudia Ojeda-Granados, assegnista di ricerca dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio – Al contrario, le popolazioni cinesi di etnia Han e Tujia, così come quelle di Corea e Giappone, hanno evoluto adattamenti di tipo metabolico molto simili tra loro”.

Tra le modificazioni genetiche individuate dai ricercatori, alcune permettono di mantenere un minore indice di massa corporea e di diminuire il rischio cardio-vascolare, grazie ad una riduzione della conversione dei carboidrati in colesterolo e acidi grassi. Altre conferiscono una ridotta suscettibilità all’insulino-resistenza, regolando negativamente la sintesi di glucosio da parte del fegato. Altre ancora, infine, aumentano la produzione dell’acido retinoico, un metabolita attivo della vitamina A: la carenza di questo nutriente essenziale è infatti uno dei principali problemi di salute delle popolazioni con una dieta basata sul riso.

“I risultati di questa ricerca – conclude Sazzini – dimostrano ancora una volta come lo studio della storia evolutiva umana possa fornire un prezioso contributo anche nell’ambito della ricerca biomedica, permettendo di identificare alcune delle cause profonde che sono alla base della differente suscettibilità delle popolazioni umane a determinate patologie”.

Pubblicata sulla rivista Evolutionary Applications con il titolo “Genomic adaptations to cereal-based diets contribute to mitigate metabolic risk in some human populations of East Asian ancestry”, la ricerca è stata coordinata da Marco Sazzini, docente del Laboratorio di Antropologia Molecolare e del Centro di Biologia Genomica del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna e dell’Alma Mater Research Institute on Global Challenges and Climate Change.

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