Malattia di Parkinson, rivoluzione nella ricerca. Dai farmaci monoclonali un possibile vaccino

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A cura del prof. Alfredo Berardelli, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Umane presso Università La Sapienza di Roma

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Il futuro del trattamento della Malattia di Parkinson, come in generale di tutto il campo medico, si fonda sull’innovazione digitale che sta portando a sistemi di telemonitoring con valutazione in remoto che consentono di controllare le variabilità infradiane di questa malattia riguardo voce, mobilità digitale, marcia, equilibrio e tempo di reazione, con il miglioramento sia della valutazione clinica sia di quella longitudinale della terapia con una continuità di cura che si avvale di piattaforme di teleriabilitazione in via di diffusione in tutto l’ambito neurologico.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati strumenti come il PD watch, l’orologio per il Parkinson, che fa il paio con il precedente orologio per l’epilessia Epilert/Welp.

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Prof. Alfredo Berardelli

Ma la terapia neurologica sta migliorando anche sul versante farmacologico grazie alla recente scoperta dei cosiddetti farmaci monoclonali che stanno rivoluzionando il trattamento non solo della malattia di Parkinson, ancora ai primi positivi risultati, ma anche quello delle cefalee, dove nell’emicrania i risultati sono ormai un dato di fatto acquisito e in prospettiva promettono di migliorare ulteriormente.

Questi anticorpi monoclonali creati in laboratorio sembrano fornire una simile efficacia anche nella Sclerosi Multipla e altri ricercatori propendono per un proficuo impiego anche nella Malattia di Alzheimer.

La rivoluzione in corso è tale che si parla di vaccino in quanto bastano una/due somministrazioni mensili per ottenere una sorta di immunità di lunga durata finora impensabile e che deriva dal millimetrico blocco dei recettori neuronali implicati nello scatenamento della malattia in questione.

Un’altra rivoluzione è quella della valutazione neurostrumentale: la prima TAC fu eseguita il 1° ottobre 1971 al Saint George Hospital di Londra cambiando per sempre la neurologia. Nel ‘77 arrivò la Risonanza Magnetica entrata nella pratica clinica negli anni 80 e nel ’90 fu sviluppata la risonanza magnetica funzionale, con cui tramontò l’era delle fotografie del cervello per passare a quella dei filmati in diretta che mostrano non solo come il cervello è fatto, ma anche come funziona.

Recentemente è arrivata la DTI (Diffusion Tensor Imaging) che ci permette di entrare nel dettaglio microstrutturale delle singole fibre nervose seguendo così nei minimi particolari l’andamento naturale e la risposta ai farmaci di malattie croniche come Parkinson, Alzheimer, Sclerosi Multipla, ecc. o di condizioni acute come lo stroke.

Per non parlare della possibilità oggi consentita da queste tecniche di indagare anche sulla connettività delle varie aree cerebrali o sull’eterogeneità morfologica dei tumori cerebrali, evitando invasive biopsie, le sole finora scevre dal pericolo di misdiagnosi radiologiche.

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