Epatite C, poche luci e troppe ombre nelle attività di screening delle regioni

Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali: “Dopo più di due anni dallo stanziamento da parte del Governo di 71,5 milioni di euro per gli screening dell’Epatite C, ad oggi l’avvio delle relative campagne da parte delle regioni risulta carente nella maggior parte dei casi, con alcune che non hanno avviato alcuna strategia”

Roma, 19 luglio 2022 – È il momento del bilancio e di lanciare nuove proposte per favorire la lotta all’Epatite C. L’Italia, infatti, è ancora in corsa per l’obiettivo fissato dall’OMS di eliminare dal Paese il virus entro il 2030, un traguardo raggiungibile grazie alla terapia antivirale ad azione diretta (DAA) che permette di eradicare l’HCV dall’organismo in modo definitivo, in poche settimane e senza effetti collaterali.

Un importante strumento, però, non è stato sfruttato a dovere: nel febbraio 2020, il Governo ha stanziato un fondo per favorire gli screening, ma solo alcune regioni hanno realmente implementato politiche volte a favorire l’emersione del ‘sommerso’.

Alcune hanno realizzato vere e proprie politiche di screening, o quantomeno avviato dei piani: tra queste Basilicata, Liguria, Veneto, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Molise, Abruzzo, Valle d’Aosta. Tra le regioni ferme invece vi sono Campania, Umbria, Puglia, Lazio, Toscana, Calabria, Marche, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Sardegna. In questo quadro, non si può fare a meno di rilevare che le regioni a statuto speciale sono rimaste tagliate dall’erogazione dei fondi statali. Il 31 dicembre 2022 i fondi scadono e bisogna capire quali siano stati i problemi di questi mesi e come si possa rilanciare la lotta all’Epatite C.

Il progetto CCuriamo di ISHEO fa il punto della situazione

Prof. Massimo Andreoni

L’analisi dell’attività delle regioni è stata svolta in questi mesi dal Progetto CCuriamo ideato da ISHEO. In questi due anni si sono susseguiti incontri periodici tra rappresentanti delle istituzioni, degli enti locali, del mondo scientifico. Un percorso completato con l’expert meeting “Analisi e monitoraggio dell’accesso allo screening HCV nelle regioni italiane”, a cui hanno preso parte Davide Integlia, Direttore di ISHEO; Stefano Vella, Professore Salute Globale, Università Cattolica, Roma; Alessio Aghemo, Professore di Gastroenterologia Dipartimento di Scienze Biomediche Humanitas University; Massimo Andreoni, Direttore Scientifico Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT; Sergio Babudieri, Direttore Scientifico Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria – SIMSPe; Massimo Galli, già Professore Ordinario di Malattie Infettive, Università degli Studi di Milano; Loreta Kondili, Centro Nazionale per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità. A moderare gli interventi degli specialisti il giornalista Daniel Della Seta.

Prof. Sergio Babudieri

“Abbiamo monitorato le azioni messe in campo per usufruire dei fondi per i test gratuiti messi a disposizione delle regioni a statuto ordinario – spiega Davide Integlia, direttore Isheo – Tra gli ostacoli riscontrati, non vi è stata solo la pandemia, ma evidenti difficoltà delle regioni a organizzare e pianificare un’attività complessa, che prevede l’impiego e la formazione di risorse di cui le regioni sono carenti. È emerso con forza il limite della dual governance tra Stato e Regioni. Su un tema di salute pubblica come l’eliminazione di un virus, che per definizione non conosce confini regionali, questa sovrapposizione di competenze è esplosa, portando al fallimento un progetto ben pensato a livello nazionale. Adesso è doveroso pensare all’immediato futuro: tra le opzioni possibili, si confida nella proroga della disponibilità delle risorse destinate ai testi HCV messe a disposizione dello Stato per le regioni; un ripensamento generale del modello di screening; l’ipotesi di introdurre i test gratuiti per tutti nei Livelli Essenziali di Assistenza, non riservandoli quindi solo a determinate fasce di età o a popolazioni chiave, ma mettendo a livello nazionale la possibilità di rimborsare i test alle regioni”.

Il punto delle società scientifiche

“Dopo più di due anni dallo stanziamento da parte del Governo di 71,5 milioni di euro per gli screening dell’Epatite C, ad oggi l’avvio delle relative campagne da parte delle regioni risulta carente nella maggior parte dei casi, con alcune che non hanno avviato alcuna strategia – evidenzia il prof. Massimo Andreoni – Pur comprendendo i rallentamenti dovuti alla pandemia, in questa fase, al fine di perseguire l’obiettivo dell’OMS dell’eliminazione del virus dal nostro Paese entro il 2030, diventa fondamentale esortare le regioni stesse a un impegno formale nell’avvio di politiche di screening. Dopo la bocciatura della settimana scorsa, auspichiamo possa essere ripresentato presto l’emendamento per la proroga dei fondi per almeno un altro anno, che scadrà alla fine del 2022”.

“La ripresa della lotta all’Epatite C si deve svolgere su diversi piani, vista la gravità del virus dell’HCV che può condurre a cirrosi epatica e a epatocarcinoma – sottolinea il prof. Alessio Aghemo – Anzitutto, dobbiamo aumentare la sensibilità verso queste patologie nella popolazione generale. In secondo luogo, dobbiamo identificare coloro che non sono a conoscenza della malattia attraverso adeguate strategie di screening. È fondamentale poi anche attuare un rapido ed efficiente linkage-to-care, ossia un’immediata somministrazione della terapia nel momento in cui si rileva un soggetto positivo al virus”.

“La SIMSPe ha realizzato dei progetti pilota con cui ha dimostrato la fattibilità di uno screening proattivo in una popolazione chiave come i detenuti, pazienti peraltro non semplici da raggiungere con test medici – commenta il prof. Sergio Babudieri – Tuttavia, abbiamo riscontrato alcuni ostacoli rilevanti. Nel caso della sanità penitenziaria, infatti, la frammentazione del territorio va oltre la semplice diseguaglianza tra regioni, ma si proietta su diverse politiche per ciascuna ASL, anche all’interno di una stessa regione. Inoltre, adesso la sanità penitenziaria si trova a corto di personale, maggiormente assorbito dalla sanità del territorio per fronteggiare il Covid. Alla luce della nostra esperienza e di questa contingenza, suggeriamo di puntare su un maggiore coinvolgimento degli infermieri, i quali hanno rapporti con i detenuti e possono svolgere agevolmente una manovra non prettamente clinica come il test per l’Epatite C, eseguito con prelievo pungidito o salivare”.

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