Un miliardo di affamati dopo la pandemia. Gli effetti del coronavirus sulle aree più vulnerabili al mondo

Milano, 10 luglio 2020 – In occasione della Giornata internazionale della popolazione (11 luglio), con riferimento agli effetti della pandemia di Covid-19, Azione contro la Fame manifesta una forte preoccupazione per l’imminente impatto sui livelli di fame che riguardano popoli già indeboliti da conflitti, cambiamenti climatici e povertà.

L’organizzazione, che ha redatto un report dettagliato sul tema (in allegato), invita pertanto le autorità competenti a riconoscere l’entità della crisi e ad assumere impegni concreti per limitare i danni sul versante alimentare e nutrizionale della popolazione mondiale.

L’emergenza coronavirus ha, del resto, causato una grave crisi globale con implicazioni sociali ed economiche di vasta portata che rischiano di aggravare, adesso, la condizione di vulnerabilità già vissuta da milioni di persone. Secondo il World Food Program (WFP), la pandemia potrebbe condurre 135 milioni di persone verso una grave forma di insicurezza alimentare, aumentando l’attuale numero di donne e uomini (821 milioni di individui) che, nel 2019, sono stati classificati come ‘insicuri’ (SOFI 2019).

“La situazione sta già peggiorando notevolmente in molte aree del mondo in cui i team dell’organizzazione sono presenti. Temiamo di raggiungere, nel prossimo futuro, la cifra senza precedenti di un miliardo di persone che soffrono la fame”, ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame.

Pur riconoscendo gli sforzi dei governi per limitare la diffusione del virus, Azione contro la Fame osserva che le restrizioni ai movimenti, oltre alla chiusura dei confini e dei mercati, hanno avuto un forte impatto su mezzi di sussistenza già fragili. La pandemia sta causando, d’altra parte, una riduzione complessiva dell’accesso ai servizi di base. Le difficoltà legate al commercio, inoltre, influiscono inevitabilmente sulla disponibilità di cibo, sull’approvvigionamento alimentare e sulla stabilità dei prezzi.

In Pakistan, per esempio, i prezzi legati ai generi alimentari risultano, oggi, insolitamente alti: la causa va ricercata nella chiusura delle frontiere e delle strade, che sta impedendo alle famiglie più vulnerabili, che vivono sotto la soglia di povertà, di accedere al cibo necessario. Il costo del grano e della farina di frumento sta aumentando, rispettivamente, del 4,9% e dell’8,4%.

Quasi 6,9 milioni di famiglie, inoltre, affermano di aver ridotto il numero o le quantità di pasti quotidiani per soddisfare i bisogni primari. Le misure di blocco, infine, hanno influito, in modo significativo, sulla possibilità di lavorare, riducendo considerevolmente il potere d’acquisto delle famiglie. Il Pakistan, oggi, ha una forza lavoro di 63 milioni di persone: 46 milioni, impiegate nella cosiddetta “economia informale, sono dunque a rischio.

Anche in Africa centro-occidentale la situazione risulta particolarmente preoccupante. Qui 19 milioni di persone potrebbero subire una condizione di insicurezza alimentare non solo a causa della crisi attuale ma anche in ragione dei conflitti e delle violenze in corso nella regione. Secondo alcune stime, 50 milioni di persone potrebbero essere travolte dagli effetti della pandemia.

Il Covid-19 impatterà, del resto, su sistemi sanitari, di protezione sociale e mezzi di sussistenza giù precari. È il caso dei Paesi situati nell’Africa sub-sahariana: qui, infatti, si rileva una presenza di 0,5 medici per 1.000 persone in un’area dove le infrastrutture sanitarie sono sotto pressione dieci mesi su dodici a causa di epidemie, malnutrizione acuta e stagione delle piogge.

Sul versante sudamericano, più precisamente in Colombia, a causa del Covid-19, l’87% dei piccoli produttori di generi alimentari ha subito un forte impatto sulla propria capacità produttiva, anche a causa dell’aumento dei prezzi legati al trasporto. Circa il 34,2% delle famiglie colombiane sta affrontando, in questo momento, sfide notevoli per accedere ai mercati, principalmente a causa delle restrizioni agli spostamenti. Il 53,7% delle famiglie, oggi, ha deciso di fare affidamento su alimenti di qualità inferiore o, addirittura, di ridurre le quantità di cibo.

“In questo contesto, tutti i Paesi dovrebbero rafforzare i propri sistemi sanitari e ripensare anche i modelli agricoli, produttivi e alimentari attuali per rispondere alle esigenze delle proprie popolazioni. È fondamentale sviluppare pratiche sostenibili come l’agroecologia, sostenere gli agricoltori e i mercati locali garantendo cibo accessibile, sicuro, economico, nutriente e sano per tutti. L’applicazione di questi modelli, che preservano la biodiversità e il buon funzionamento degli ecosistemi, è la condizione sine qua non per prevenire crisi future”, ha aggiunto Garroni.

Azione contro la Fame, che nel rapporto ha analizzato l’impatto di Covid-19 sulla popolazione vulnerabile di oltre 25 Paesi in Africa, Asia, Medioriente e America latina (periodo aprile-giugno 2020), ha identificato tre aree di intervento con l’obiettivo di scongiurare l’incremento dei livelli di fame:

  • garantire l’accesso ai servizi di base che riguardano la salute e potenziare i sistemi di protezione sociale;
  • rispondere alla crisi con la trasformazione dei sistemi alimentari, con l’obiettivo di renderli resistenti, sostenibili e in grado di fornire alimenti sani, a un prezzo ragionevole e sufficienti per tutti;
  • eliminare i vincoli all’accesso umanitario.

I governi, in tal senso, sono chiamati a adottare politiche chiare per affrontare questa sfida senza precedenti. L’organizzazione, in particolare, esorta i responsabili degli esecutivi ad assumere un ruolo centrale mobilitandosi per cristallizzare, finalmente, impegni politici e finanziari concreti.

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