Tumori testa-collo, individuato un meccanismo alla base dell’aggressività della malattia

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Nuovo studio dell’Istituto Regina Elena, sostenuto da Ministero della Salute e AIRC e pubblicato su Theranostics. Ciliberto: “In futuro il meccanismo d’azione di p53 mutata potrebbe diventare un bersaglio per terapie molecolari di precisione nei tumori aggressivi della testa-collo”

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Roma, 22 febbraio 2017 – Nel mondo quasi una persona su due con un tumore presenta la mutazione del gene che produce la proteina p53. In moltissimi casi queste mutazioni trasformano p53 da “angelo buono”, soppressore dei tumori, in una delle proteine più aggressive della trasformazione maligna: in queste condizioni p53 non solo non svolge più le funzioni originarie, ma acquisisce proprietà oncogeniche che favoriscono il tumore.

Ricercatori dell’Istituto Regina Elena di Roma hanno individuato un importante meccanismo d’azione di p53 mutata nei tumori squamosi della testa-collo. I pazienti colpiti dalla neoplasia e con tale mutazione hanno in genere un decorso infausto, con una bassa risposta alla radio e chemioterapia e questo spiega l’urgenza di trovare strategie per bloccare l’azione di p53 mutata.

I risultati dello studio condotto da Giovanni Blandino e Silvia Di Agostino del Laboratorio di Oncogenomica ed Epigenetica IRE e pubblicati su Theranostics dimostrano che, nei tumori testa-collo, p53 mutata è in grado di agire sull’attività di specifiche molecole di RNA con importanti funzioni regolatorie.

Più precisamente, nella cellula tumorale una di queste molecole, il long ncMIR205HG indotto da p53 mutata, sequestra un piccolo micro-RNA, chiamato miR-590-3p. Questo soppressore tumorale una volta sequestrato non può più limitare la proliferazione incontrollata delle cellule maligne. Spezzare il legame tra i due RNA ripristina le normali funzioni di miR-590-3p e rallenta la proliferazione e la capacità migratoria delle cellule maligne.

Il meccanismo d’azione di p53 mutata può quindi essere considerato un bersaglio per terapie molecolari di precisione nei tumori aggressivi della testa-collo.
L’importante scoperta è stata possibile grazie al contributo del Ministero della Salute che ha sostenuto il progetto “Genomic instability (IN) in Head&Neck cancers: Role of Gain of Function activity (GOF) of p53 mutants” di cui Silvia Di Agostino è la responsabile scientifica, e dell’Associazione per la Ricerca sul Cancro (AIRC) che sostiene la ricerca sullo studio delle attività oncogeniche di p53 mutata.

I tumori testa-collo rappresentano il 4% di tutte le neoplasie, ogni anno in Italia sono diagnosticati oltre 9.500 nuovi casi. Gli uomini sono i più colpiti dalla malattia e nella fascia d’età tra 50 e 69 anni è la quinta neoplasia più frequente (dati AIRTUM).

Un recente lavoro dell’Istituto Regina Elena di Roma rivela che la proteina p53 mutata induce la crescita incontrollata di tumori squamosi della testa-collo stimolando l’aberrante attività di lunghi RNA.
La proteina p53, anche detta “guardiano del genoma”, è uno dei più potenti soppressori tumorali che il corpo umano ha a disposizione.

“Tuttavia le forme mutate della proteina si comportano in modo diverso – spiega Giovanni Blandino – con attività molteplici: inducono o reprimono in modo aberrante vie di segnalazione costituite da enzimi, complessi molecolari e modificano l’espressione di RNA con importanti funzioni regolatorie delle cellule. Il nostro gruppo studia le attività oncogeniche di p53 mutata nei tumori squamosi della testa-collo. Tali neoplasie sono molto aggressive e con una percentuale di mutazioni del gene di p53 che arriva al 70-80%”.

“Negli ultimi anni – continua Silvia Di Agostino – è stata definita la cosiddetta classe di RNA non codificanti in cui sono inclusi i long non-coding RNA (long ncRNA). Nel nostro lavoro abbiamo mostrato che la p53 mutata nei tumori testa-collo è in grado di agire su long ncMIR205HG, inducendolo a comportarsi come un RNA oncogenico. In che modo? Legandosi al piccolo micro-RNA, miR-590-3p, e impedendogli di fatto di svolgere il proprio compito che consiste nel limitare la proliferazione incontrollata delle cellule. Questo meccanismo porta alla crescita del tumore e alla formazione di metastasi. Gli esperimenti hanno dimostrato che se il legame tra long ncMIR205HG e miR-590-3p si spezza, si riesce a ripristinare l’attività di soppressore tumorale di miR-590-3p”.

“La ricerca – conclude Gennaro Ciliberto – nasce dalla spinta a studiare quali nuove aberranti attività svolge la proteina p53 mutata. In futuro questi risultati potrebbero essere informazioni preziose per sviluppare terapie mirate a disarmare questo importante bersaglio”.

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