Tumore al polmone, scoperta mutazione di un gene alla base della resistenza all’immunoterapia

IRCCS Istituto Regina Elena, nuovo studio internazionale su Annals of Oncology. L’immunoterapia è meno efficace nei pazienti con più evidente mutazione del gene KEAP1. I malati con profilo meno alterato per questo gene sono più sensibili alla terapia

Roma, 21 dicembre 2022 – Il tumore del polmone rimane il “big killer” tra le neoplasie, nonostante gli enormi passi in avanti effettuati negli ultimi anni. Tra questi, l’immunoterapia con anticorpi monoclonali è diventata una risorsa fondamentale del trattamento terapeutico, indicata per larga dei pazienti con questa diagnosi.

Purtroppo, molti pazienti non rispondono a questa terapia e sperimentano un fallimento precoce delle cure. Capire i meccanismi alla base di questa “resistenza farmacologica” è fondamentale per migliorare ulteriormente la qualità di vita e la sopravvivenza dei nostri pazienti.

È proprio questo il tema affrontato da Marcello Maugeri-Saccà, oncologo medico e ricercatore dell’IRCCS Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE), in un recente studio pubblicato su Annals of Oncology (rivista ufficiale dell’European Society for Medical Oncology, ESMO). Tale risultato è frutto di una prestigiosa collaborazione internazionale tra il gruppo dell’IRE, guidato appunto da Maugeri-Saccà, i ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute/Harvard Medical School di Boston, e del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste.

Prof. Marcello Maugeri-Saccà

Focus centrale della ricerca è l’analisi delle caratteristiche genomiche dei tumori del polmone, in questo caso gli adenocarcinomi. Circa il 20% di tali neoplasie possiedono una mutazione del gene KEAP1, già da anni oggetto di ricerca del gruppo di Maugeri-Saccà e legato ad una minore efficacia dei trattamenti immunoterapici.

Lo studio rivela che, correlando due parametri che ci dicono “quanto” è presente tale mutazione nelle cellule tumorali, è possibile identificare l’efficacia del trattamento. Infatti, i malati con un profilo meno evidente della mutazione, sono sensibili alla terapia. Al contrario, pazienti con elevato profilo mutazionale sono resistenti. Tali risultati sono stati verificati su una larga coorte di pazienti, circa 700 in totale, affetti da adenocarcinoma polmonare, trattati con immunoterapia, di cui erano disponibili sia i dati clinici del trattamento sia i dati genomici della neoplasia.

“Siamo partiti proprio da un’attenta analisi dei dati genomici, frutto dell’applicazione nella pratica clinica della next-generation-sequencing (NGS) su tessuto neoplastico – spiega Marcello Maugeri-Saccà – che ci permette di conoscere nel dettaglio non solo la presenza o meno di una mutazione nel tumore, ma anche “quanto” è presente. Focalizzandoci su KEAP1, con questo studio dimostriamo che i pazienti con mutazioni cosiddette clonali (cioè presenti in tutte le cellule neoplastiche) di KEAP1 hanno uno scarso beneficio dell’immunoterapia. D’altronde, abbiamo verificato che questi tumori risultano “immunologicamente freddi”, quindi poco responsivi allo stimolo dell’immunoterapia”.

“I risultati dello studio, attraverso l’uso di parametri disponibili anche in pratica clinica grazie ad un’adeguata caratterizzazione genomica della neoplasia – afferma Gennaro Ciliberto, Direttore scientifico IRE – possono, se ulteriormente confermati, consentire in futuro di selezionare sin dalla diagnosi i pazienti che avranno beneficio dal trattamento immunoterapico. Fondamentale per la realizzazione di tale lavoro è stata la collaborazione internazionale tra l’IRE e altri due prestigiosi centri, all’avanguardia nella cura e ricerca contro il cancro”.

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