La ricerca italiana guida il futuro nelle terapie contro l’HIV

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C’è bisogno di innovazione per il futuro della lotta al virus HIV: occorre studiare trattamenti sempre più “Patient Friendly”, controllare adeguatamente il fenomeno delle resistenze, limitare gli effetti indesiderati delle cure nel tempo e soprattutto giungere all’eliminazione del virus dall’organismo. Al via una nuova strategia per dare scacco matto all’HIV grazie al consorzio Epiical coordinato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Grazie alla piattaforma di Fondazione Penta, che coinvolge i principali centri di ricerca in tutto il mondo, sarà possibile studiare “ex vivo” i farmaci del futuro, per trovare soluzioni in grado di eliminare definitivamente, o almeno per periodi di remissione, il virus dall’organismo della persona sieropositiva

ricercatrice-medicoRoma, 19 maggio 2016 – Curare al meglio i bambini che nascono sieropositivi per “negativizzare” immediatamente l’infezione da virus HIV-Aids e sviluppare più rapidamente, grazie alle cellule dei più piccoli, farmaci che nel futuro potrebbero eliminare per lunghi periodi, e forse definitivamente, il virus dall’organismo dei malati (anche adulti), azzerando, o almeno riducendo significativamente, le nicchie di resistenza all’interno delle quali i farmaci di oggi non riescono ad agire.

Parte dall’Italia una nuova affascinante sfida al virus dell’Aids. Grazie alla piattaforma di Fondazione Penta, network internazionale che riunisce centri universitari di altissimo livello in tutto il mondo, e all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, prende il via il progetto di ricerca traslazionale “Epiical”.

Dalle cellule dei bambini, che rappresentano un modello unico di sviluppo del virus e della malattia, sarà possibile accelerare la messa a punto di farmaci innovativi, capaci di agire su nuovi target e addirittura di aprire la strada all’immunoterapia specifica, in grado di rendere il corpo capace di aiutare ad eliminare, con i propri sistemi difensivi, il virus stesso.

L’obiettivo della ricerca è quello di creare modelli predittivi per meglio comprendere l’andamento dell’infezione e di verificare l’efficacia di nuove strategie immuno-terapeutiche capaci non solo di bloccare la replicazione virale, come avviene oggi, ma anche di determinare fasi di remissione della malattia e consentire temporanee sospensioni dei trattamenti antivirali.

“La più efficace evoluzione nella cura dell’AIDS è stata l’introduzione della terapia combinata antiretrovirale nelle fasi più precoci dell’infezione – spiega il prof. Paolo Rossi, direttore del Dipartimento Pediatrico Universitario, Ospedale del Bambino Gesù – Questo significativo cambiamento della strategia terapeutica ha trovato la sua prima e più piena applicazione nell’infezione pediatrica, quando il virus è trasmesso dalla madre infetta al neonato, solitamente al parto. In questo modello infatti, il momento dell’inoculo dell’agente infettivo è noto ed è quindi possibile instaurare immediatamente la terapia”.

“A questa rivoluzione ha partecipato in modo pioneristico alla fine degli anni 90 il gruppo dei Pediatri Immuno-Infettivologi dell’IRCCS Bambino Gesù di Roma – prosegue Rossi – L’introduzione della terapia precoce permette di abbattere e quasi annullare la presenza del virus HIV nel sangue e nei tessuti con una modifica totale degli effetti negativi sul sistema immunitario e quindi sulla salute generale dei pazienti. I bambini che hanno ricevuto la Terapia Precoce presentano un quadro immunologico e virologico UNICO, tanto che alcuni, sospesa la terapia, sono stati per lungo tempo senza virus HIV evidenziabile”.

Studiando in laboratorio quanto avviene nei bambini, quindi, si pongono le basi per trovare nuove cure destinate a tutti. Proprio perché l’infezione da virus HIV-Aids è diventata una patologia “cronica”, poiché i soggetti infetti raggiungono una sopravvivenza ormai pari a quella dei soggetti sani, si scoprono effetti legati alla persistenza del virus nell’organismo, anche quando il virus non è individuabile nel sangue. Ad esempio oggi si sa che l’infezione causa l’infiammazione cronica e l’attivazione del sistema immunitario, condizioni che possono comportare un accelerato processo di invecchiamento e facilitare il rischio di coinfezioni e comorbilità che possono essere affrontate con maggior difficoltà.

“Per tutti questi motivi oggi c’è ancora bisogno di individuare nuovi farmaci, che possano giungere prima possibile al malato – afferma Carlo Giaquinto del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università di Padova e Presidente Fondazione Penta – Il progetto Epiical si giova della piattaforma di ricerca e raccolta dati di Fondazione Penta (Paediatric European Network for Treatment of AIDS), nata nel 1991 e poi sviluppatasi come network europeo per gli studi clinici indipendenti sui bambini affetti da HIV-Aids. A questo progetto aderiranno centri di tutto il mondo, nell’ambito di una rete che comprende oltre 90 strutture in 18 paesi di Europa, Africa, Asia e America Latina”.

In Italia ogni anno si registrano 4 mila nuovi casi di HIV e riguardano soprattutto i giovani tra i 25 e i 29 anni. Di questi il 60% viene scoperto in una fase tardiva di infezione. La Lombardia, con circa 20mila persone sieropositive, è tra le regioni italiane più colpite, insieme a Lazio, Emilia Romagna e Liguria. In Italia sono 120.000 le persone che convivono con l’HIV: a fronte di un importante calo della mortalità grazie alle terapie, si segnala una drastica riduzione dell’informazione in merito alla malattia.

Secondo il Bollettino del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità, la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’84,1% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 43.2%; omosessuali MSM 40.9%). Il 27.1% (1 su 4) delle persone diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera. Il 37% degli italiani non si è mai sottoposto al test HIV e il 5% delle persone che vivono con HIV non lo ha mai detto al proprio partner. Il 40% delle persone sieropositive non rivela ai familiari di aver contratto il virus e il 74% non lo dichiara nel contesto lavorativo.

fonte: ufficio stampa

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