Ipertensione arteriosa, in Europa 6 pazienti su 10 non assumono terapie. In arrivo le nuove linee guida

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Il documento consiglia di iniziare il trattamento con terapie di combinazione. I proff. Enrico Agabiti Rosei e Giuseppe Mancia: “Gli altri obiettivi: abbassare i livelli di pressione senza effetti collaterali e aumentare i controlli fuori dagli studi medici”

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Roma, 19 giugno 2018 – Il 60% degli europei affetti da ipertensione arteriosa non assume una terapia. Di questi pazienti appena uno su tre presenta livelli di pressione al di sotto dei valori di 140/90 mmHg. Questo avviene nonostante sia i medici che i malati abbiano a disposizione da molti anni farmaci efficaci e ben tollerati e dispongano di strumenti assai precisi per la diagnosi.

Per invertire questa tendenza l’European Society of Hypertension (ESH) insieme alla European Society of Cardiology (ESC) ha preparato una nuova edizione aggiornata delle Linee Guida per la diagnosi e il trattamento dell’ipertensione arteriosa. Una prima presentazione del documento è avvenuta a Barcellona durante il Congresso 2018 dell’ESH che si è svolto nella città catalana dall’8 all’11 giugno.

“L’ipertensione continua a essere la prima causa di mortalità e di sviluppo di gravi malattie cardiovascolari e renali in tutto il mondo – afferma il prof. Enrico Agabiti Rosei, Past President dell’ESH – E questo fenomeno interessa sia i Paesi in via di sviluppo che quelli industrializzati. I principali motivi che impediscono una buona gestione dell’ipertensione sono l’inerzia del medico, la scarsa aderenza alle cure da parte dei pazienti e l’insufficiente utilizzo di terapie di combinazione”.

“L’ipertensione nella maggioranza dei casi è provocata da diversi meccanismi e fattori che interagiscono tra di loro – prosegue Agabiti Rosei – Per contrastarla è necessario l’uso simultaneo di più farmaci. Le Linee Guida consigliano nella maggioranza dei casi di iniziare il trattamento con terapie di combinazione di farmaci in dosi predefinite. Avere due o più molecole nella stessa compressa presenta degli indubbi vantaggi in termini di efficacia e favorisce l’assunzione regolare e continua dei farmaci, ovvero una maggiore persistenza e aderenza alla terapia”.

Fondamentali obiettivi del nuovo documento dell’ESH sono riuscire a controllare la pressione in un più ampio numero di persone e ottenere valori pressori più bassi rispetto alle precedenti indicazioni. La pressione arteriosa dovrebbe essere ridotta al di sotto di 130 mmHg nei pazienti adulti e al di sotto di 140 mmHg nei pazienti anziani (con più di 65 anni e anche sopra gli 80 anni se in buone condizioni di salute), purché non vi siano effetti collaterali legati alle terapie.

“Anche nelle forme più lievi viene raccomandato il trattamento farmacologico – aggiunge il prof. Giuseppe Mancia, dell’Università Milano-Bicocca e co-Chairman delle Linee Guida, coordinatore di una Task Force composta, oltre che dal prof. Agabiti Rosei, da altri venti specialisti europei – E’ dimostrato da alcuni studi scientifici che maggiore è la riduzione della pressione più grande è il vantaggio addizionale che riusciamo a garantire ad un paziente. Tra le altre raccomandazioni vi è anche l’incremento dei controlli della pressione al di fuori degli studi medici. Come alternativa suggeriamo la misurazione a domicilio o il monitoraggio ambulatoriale per 24 ore. In questo modo si può confermare con maggiore precisione la prima diagnosi che solitamente viene effettuata dal medico di famiglia. Inoltre si riesce a individuare più facilmente le così dette forme di ipertensione da camice bianco o ipertensione mascherata”.

Le Linee Guida presentano alcuni capitoli specifici dedicati allo screening dell’ipertensione secondaria e ai trattamenti specifici delle emergenze ipertensive e a quelli riservati ad alcune particolari categorie di persone: donne in gravidanza, bambini, pazienti con altre patologie croniche come diabete o insufficienza renale, con complicanze cardio- e cerebro-vascolari.

“Il documento dell’ESH ribadisce anche l’estrema importanza della valutazione del danno d’organo iniziale – conclude il prof. Agabiti Rosei – E’ un aspetto che da sempre riveste particolare rilevanza nelle linee guida europee rispetto a quelle statunitensi. Siamo, infatti, convinti che i danni precoci, asintomatici, causati dall’ipertensione a organi come cuore, reni o cervello determinino un rischio globale molto elevato. Il danno iniziale può regredire grazie alle terapie e questo miglioramento può consentire una minore incidenza di tutte le patologie cardiovascolari”.

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