Diabete e obesità causano declino mentale. Lo rivela uno studio dell’Università Cattolica

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È possibile prevenire i danni inflitti al cervello da diete squilibrate, intervenendo su questi bersagli. La scoperta frutto del lavoro di esperti dell’Università Cattolica – Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma e pubblicato sulla rivista “Nature Communications”

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Roma, 11 dicembre 2017 – L’obesità e il diabete di tipo 2 (malattie metaboliche caratterizzate da una ridotta sensibilità degli organi all’insulina, detta anche insulino-resistenza) sono una minaccia per la salute del cervello e causano deficit cognitivi, alterando il funzionamento di un ‘interruttore’ chiave per apprendimento e memoria, il recettore per il glutammato “GluA1” che, esposto sui neuroni, serve loro per comunicare.

L’insulino-resistenza manda in tilt questo interruttore attraverso una specifica modifica chimica detta ‘palmitoilazione’, ovvero l’aggiunta di acido palmitico, che si accumula nel cervello quando si adotta una dieta troppo ricca di grassi saturi, al recettore stesso impedendone il funzionamento. Eliminando queste improprie modifiche chimiche, i deficit cognitivi causati da obesità e diabete si possono cancellare.

Lo studio, appena pubblicato sulla rivista Nature Communications, è stato condotto da un gruppo di giovani ricercatori dell’Istituto di Fisiologia Umana dell’Università Cattolica, diretto dal prof. Claudio Grassi, in particolare dai dottori Matteo Spinelli e Salvatore Fusco e ha visto il contributo di ricercatori dell’Università di Salerno.

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Matteo Spinelli, Claudio Grassi e Salvatore Fusco

I ricercatori hanno anche documentato l’accumulo di grassi nel cervello, compreso lo stesso acido palmitico che è uno dei tanti grassi che aumentano esageratamente nel cervello a causa di diete squilibrate. Finora, la ricerca nel settore delle malattie metaboliche si è concentrata prevalentemente sugli effetti dell’insulino-resistenza sugli organi periferici quali muscoli e fegato.

“Il nostro studio sottolinea l’importanza di rivolgere una maggiore attenzione agli effetti dell’insulino-resistenza sulle funzioni del cervello”, sottolinea il prof. Grassi.

“È interessante notare – afferma il dott. Fusco – come una dieta ricca di grassi saturi produca un danno al cervello attraverso un duplice meccanismo: aumentando la concentrazione di acido palmitico nel cervello e attivando il gene che porta alla produzione dell’enzima specifico per attuare la modifica chimica (la palmitoiltransferasi zDHHC3)”.

“Abbiamo dimostrato – prosegue il dott. Spinelli – che bloccando geneticamente o farmacologicamente la palmitoilazione del recettore GluA1 siamo in grado di annullare gli effetti dannosi dell’insulino-resistenza sulle funzioni cognitive”.

Infatti i ricercatori dell’Università Cattolica hanno dimostrato (in modelli sperimentali animali) che un trattamento assolutamente non invasivo, quale la somministrazione tramite spray nasale di un farmaco che blocca la palmitoilazione, è in grado di contrastare le alterazioni di apprendimento e memoria che si osservano negli animali sottoposti a dieta grassa, oltre a normalizzare le modificazioni molecolari delle cellule nervose responsabili del danno cognitivo.

“Il nostro studio – ribadisce il prof. Grassi – indaga e svela un meccanismo molecolare responsabile del declino cognitivo che si associa alle malattie metaboliche, quali diabete di tipo 2 e obesità, caratterizzate da un quadro di ‘resistenza’ all’insulina. In particolare, noi abbiamo dimostrato che l’insulino-resistenza che si sviluppa nel cervello di animali di laboratorio alimentati con una dieta ricca di grassi saturi produce un aumento della palmitoilazione a carico di alcuni recettori per il glutammato denominati GluA1, che svolgono un ruolo chiave nei processi di apprendimento e memoria”.

La palmitoilazione dei recettori GluA1 impedisce che questi esercitino la loro azione fisiologica a livello delle sinapsi (i ponti di connessione tra le cellule nervose che garantiscono la trasmissione delle informazioni) causando, in tal modo, deficit cognitivi.

“Riteniamo che i risultati delle nostre ricerche abbiano una grande rilevanza clinica, in quanto mettono in luce un meccanismo responsabile degli effetti negativi esercitati da una alimentazione squilibrata sulle funzioni cerebrali e, più in generale, consentono di comprendere meglio il rapporto tra nutrizione e funzioni cognitive – spiega il prof. Grassi – I nostri dati evidenziano, inoltre, la stretta relazione tra malattie metaboliche e malattie neurodegenerative, una tematica che necessita senza dubbio di essere indagata più approfonditamente”.

Aver identificato una delle chiavi molecolari responsabili del declino cognitivo nelle malattie metaboliche offre indicazioni preziose per la messa a punto di interventi terapeutici in grado di prevenire e/o contrastare tale processo.

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