Malattie reumatiche, ne soffrono 5 milioni di italiani. Strutture soppresse o depotenziate

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Esperti SIGR studiano la “rete reumatologica” ad Hub e Spoke

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Roma, 6 ottobre 2017 – Più frequenti del diabete e delle malattie cardiovascolari: sono le 150 malattie reumatiche che colpiscono oltre il 10% degli italiani e sono la seconda causa di invalidità permanente nel nostro paese (e prima causa di dolore e disabilità nel mondo occidentale con il 46-54% dei casi dati OMS).

Studi farmaco-economici rilevano che un malato affetto da artrite reumatoide può costare al Sistema Sanitario circa 17.000 euro l’anno tra costi diretti, legati alle cure del paziente ed indiretti attribuibili prevalentemente all’assenza dal lavoro del paziente e dei suoi familiari, che lo devono assistere.

Malattie croniche e disabilitanti, ad elevato impatto sociale, come l’artrite reumatoide, le spondiloartriti e le connettiviti, con alti costi sociali, sono la Cenerentola del nostro Sistema Sanitario Nazionale che non dà risposte adeguate per queste patologie infiammatorie croniche reumatiche.

Eppure oltre il 50% delle persone, nel corso della propria vita potrà soffrire di una malattia reumatica, sia essa acuta o cronica e queste malattie determinano spesso invalidità e disabilità. Con costi sociali e umani in termini di dolore, frustrazione e depressione che interessa anche pazienti giovani adulti.

“Dobbiamo purtroppo riscontrare che nella nuova riorganizzazione della rete ospedaliera nazionale, non solo non si sono potenziate le strutture reumatologiche, ma addirittura sono state soppresse o depotenziate – dichiara il prof. Vincenzo Bruzzese Past President della Società Italiana di Gastro Reumatologa – Il che si è tradotto in minori strutture reumatologiche ospedaliere/universitarie, senza una adeguata rete reumatologica territoriale. Il risultato di questa miope strategia riorganizzativa si tramuterà in ulteriori sofferenze per i malati ed un ulteriore incremento di spesa per il Sistema Sanitario. Basti pensare che l’insieme dei pazienti reumatologici ‘costa’ 20 miliardi di euro l’anno, 3,4 miliardi solo per quelli colpiti da artrite reumatoide, con 22 milioni di giornate di lavoro perse. Eppure vediamo continuamente scomparire strutture, diminuire il numero di medici a disposizione e depotenziare centri da Unità Operative Complesse a Unità Semplici come nel caso del CTO di Roma, struttura pioniera nella presa in carico dei pazienti reumatologici. Un sistema che funzioni non può essere demandato alla buona volontà dei singoli”.

“Al momento, l’organizzazione reumatologica sanitaria, non è in grado di poter rispondere alle esigenze diagnostico-terapeutiche dei pazienti affetti da queste malattie – è il parere del prof. Bruno Laganà, Presidente SIGR – Le criticità maggiori si identificano soprattutto in un ritardo diagnostico ed una conseguente terapia tardiva. Eppure numerosi studi hanno mostrato che la diagnosi entro 3-6 mesi dall’esordio dei sintomi è direttamente correlata ad un minore danno articolare, erosione ossea e ad un minor rischio di disabilità: il 10% dei pazienti sviluppa entro due anni una invalidità permanente, così come il 50% dei pazienti reumatici cronici non adeguatamente e tempestivamente trattati. Allo stato manca un coordinamento tra le varie figure sanitarie, l’assistenza è spesso occasionale priva di un progetto integrato”.

Una soluzione per migliorare l’assistenza ai malati con queste patologie così invalidanti viene dalla Tavola Rotonda che si è appena chiusa a Roma nell’ambito del 4° Congresso Nazionale della SIGR: una “rete reumatologica” sia essa regionale che aziendale delle ASL: un progetto integrato di cura in cui il paziente trovi risposte a tutte le sue esigenze diagnostiche, terapeutiche e riabilitative.

E’ un indignato Giovanni Minisola, ex Presidente della SIR quello che è intervenuto alla tavola rotonda: “rispetto al 2010 non è cambiato nulla, anzi forse la situazione è peggiorata. I PDTA non hanno mai avuto trovato applicazione, se la reumatologia funziona è solo in realtà demandate alla buona volontà o a tradizioni culturale che mette il paziente al centro dei bisogni, le solite regioni come Veneto ed Emilia Romagna”.

Un modello virtuoso in cui tutti gli operatori del settore lavorano sapendo ‘chi fa, cosa fa, dove lo fa e per chi lo fa’. “Pensiamo ad una rete reumatologica, secondo un modello di struttura principale centrale ospedaliera o universitaria (HUB) e centri periferici prevalentemente territoriali (SPOKE), strettamente in collaborazione tra loro, che possa coprire tutte le esigenze sanitarie reumatologiche della popolazione di riferimento. L’integrazione, la condivisione e la standardizzazione dei protocolli diagnostico-terapeutici, la creazione di percorsi interdisciplinari specifici, la stretta collaborazione con i Medici di Medicina Generale porterà a diagnosi e terapie più precoci e ad una prevenzione della disabilità. Un’ applicazione pratica e non teorica del concetto ‘ospedale-territorio’ in cui il Medico di Medicina Generale faccia la sua parte attiva e centrale sul territorio, selezionando i pazienti con “sintomi di allarme” per queste patologie ed inviandoli precocemente nei centri di riferimento reumatologici” conclude Bruzzese.

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