Importante traguardo per il neurologo italiano Vincenzo Silani. Con due colleghi americani, tra i maggiori esperti internazionali di SLA che indagano sulla malattia da oltre 30 anni, fa il punto su quanto oggi sappiamo della SLA e delle possibili terapie

Milano, 15 ottobre 2014 – La ricerca non aspetta. Specie se riguarda una malattia come la SLA. Per la quale tutti i pazienti attendono una soluzione terapeutica. Bisogna correre. Ma ogni tanto occorre anche fermarsi a considerare tutto ciò che fino ad oggi è stato acquisito. Quanto resta da fare. Tanto per la diagnosi che per la terapia. È quanto hanno fatto – primo autore di uno storico lavoro apparso in questi giorni su Lancet Neurology – il neurologo milanese Vincenzo Silani e i colleghi statunitensi Hiroshi Mitsumoto e Benjamin R. Brooks, tra i maggiori esperti mondiali di SLA.

Il lavoro pubblicato su Lancet Neurology rappresenta una sintesi storica relativa ad oltre trent’anni di trial clinici farmacologici in pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). I tre autori, Hiroshi Mitsumoto, Benjamin Brooks e Vincenzo Silani, sono clinici che bene rappresentano la congiunta esperienza americana ed europea nella ricerca di una cura per i pazienti affetti da SLA. I tre autori vantano una memoria storica di oltre trent’ anni di tentativi terapeutici con studi clinici controllati elaborati nel corso di storiche riunioni internazionali. Gli studi clinici con farmaci ad ora completati (oltre 50 negli ultimi 50 anni) hanno purtroppo dato invariabilmente esito negativo.

Vincenzo Silani, Direttore della UO di Neurologia e del Laboratorio di Neuroscienze dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano di Milano – Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti e del Centro “Dino Ferrari” dell’Università degli Studi di Milano, rappresenta per l’Italia una testimonianza di tante battaglie per la cura della SLA mediante tentativi terapeutici sempre più raffinati. Vincenzo Silani indirizza la propria attenzione clinica e scientifica sulla SLA negli anni giovanili. Ancora studente di medicina, nel 1980, presso l’Istituto di Neurologia della Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore, Silani pubblica sulla rivista americana Archives of Neurology il primo studio completo relativo all’impiego della plasmaferesi in pazienti affetti da SLA. Quale esperto Silani è stato partecipe di riunioni storiche che negli anni ‘90 hanno definito i criteri diagnosti della malattia (El Escorial, 1990), successivamente modificati nelle riunioni del 1994 e 1998 ad Arlie House, in Virginia che hanno definito i moderni criteri metodologici per i trial terapeutici della SLA. I trial controllati randomizzati (RTC) sono stati progressivamente introdotti negli anni ’80 e si sono sviluppati sotto l’egida della World Federation of Neurology (WFN) Research Group on Motor Neuron Disease/ALS di cui Vincenzo Silani fa parte da diversi anni.

“Il lavoro pubblicato da Lancet Neurology – afferma Vincenzo Silani – fornisce con l’esperienza americana di due personaggi storici del mondo neurologico (Hiroshi Mitsumoto ed Benjamin R. Brooks) una esperta e vissuta revisione critica di tanti insuccessi. L’unico farmaco approvato per la terapia farmacologica della SLA rimane dal 1995 il riluzolo, noto anche per avere una efficacia molto limitata sulla durata di malattia, senza particolari effetti funzionali. Il complesso sviluppo di una molecola fino all’impiego clinico non è stato, ad ora, accompagnato da efficacia terapeutica in 23 studi randomizzati controllati con 18 diverse molecole negli ultimi 10 anni. Le motivazioni dei diversi insuccessi terapeutici vengono analizzati e discussi nell’ambito di tre diverse categorie: mancanza di una definitiva conoscenza relativa ai meccanismi patogenetici della malattia; assenza di un accurato studio di farmacocinetica delle molecole impiegate; disegno del trial terapeutico inappropriato. Il primo punto è il più dolente: malgrado la massa critica di dati generata dalle scoperte genetiche cha hanno identificato diversi meccanismi patogenetici, manca una visione unitaria e relativa al meccanismo patogenetico nelle forme di malattia familiare e sporadica. L’impiego dei modelli animali transgenici (tgSOD1 il più utilizzato) ha contribuito enormemente ad incrementare le nostre conoscenze relative ai meccanismi patogenetici della morte della cellula motoneuronale, applicabile almeno ad un sottogruppo specifico di pazienti mutati per il gene SOD1, ma ha scarsamente contribuito a fornire un parallelo per l’efficacia clinica di molecole impiegate nell’uomo”.

“Lo studio della farmacocinetica di alcune molecole è stato assolutamente insufficiente – prosegue il Prof. Silani – per caratterizzare con successo il metabolismo di alcuni farmaci anche nell’interazione con il riluzolo, farmaco in uso per la SLA, non accuratamente tuttavia definito nella maggior parte degli studi. L’ultimo punto meritevole di considerazione è rappresentato dal disegno del trial clinico: per esempio, la durata di trattamento è stata ampiamente sottostimata e la definizione degli end point criticabile, soprattutto in relazione all’efficacia ritenuta indispensabile per configurare il successo terapeutico della molecola impiegata. Analizzando tali dati in termini temporali, sulla grande quantità di pazienti fino ad oggi curati in tutto il mondo, emergono perciò alcuni punti che potremo meglio approfondire e chiarire per migliorare sempre più il trattamento della SLA”.

Dalla attenta disanima dello stato attuale della terapia della SLA deriva la consapevolezza dei tre autori che il momento storico è propizio per l’acquisizione di importanti traguardi terapeutici, non fosse altro che per le incalzanti scoperte di nuovi meccanismi patogenetici dettati dalla identificazione di nuovi geni patogenetici.
Il lavoro di Lancet Neurology analizza anche i trial clinici controllati relativi al trattamento farmacologico e non farmacologico dei sintomi della malattia, come ad esempio la scialorrea, la fatica, la perdita di peso, proponendo un quadro attuale dell’impegno più globale della comunità scientifica coinvolta della cura dei pazienti affetti da SLA.

“È solo dalla consapevolezza – prosegue VincenzoSilani – degli insuccessi terapeutici del passato e della loro possibile spiegazione che può derivare una soluzione per il futuro. La migliore collaborazione tra i ricercatori di base ed i clinici con il supporto di diversi esperti e delle associazioni dei pazienti, potrà fare la differenza. La definizione di un biomarcatore di malattia rappresenta la reale acquisizione utile a monitorate l’efficacia di un nuovo trattamento che, ad ora, viene solo valutato con parametri clinici”.

L’analisi storica conclusa con questo lavoro di alto impatto sulla comunità scientifica internazionale – conclude Vincenzo Silani – fornisce il supporto metodologicamente corretto per pianificare l’approccio terapeutico del futuro: la SLA è una malattia neurologica tra le più drammatiche ma è anche la più rappresentativa di tutte le malattie neurodegenerative. Il successo anche parziale di un trattamento segnerà il destino di una serie di malattie che condividono momenti patogenetici comuni, come ad esempio le Demenze Frontotemporali, che oggi configurano con la SLA un continuum clinico e patogenetico.

fonte: ufficio stampa

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