Rohingya, almeno 6.700 morti in un mese per le violenze. 730 sono bambini

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È il tragico bilancio di sei analisi retrospettive sulla mortalità condotte da Medici Senza Frontiere in diverse aree dei campi profughi Rohingya a Cox’s Bazar in Bangladesh, poco oltre il confine con il Myanmar

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Dacca/Roma, 14 dicembre 2017 – In un mese, dal 25 agosto al 24 settembre 2017, sono morti a causa della violenza in Myanmar, nello Stato di Rakhine, almeno 6.700 Rohingya, tra cui 730 bambini al di sotto dei 5 anni. È quanto emerge da un’indagine condotta dall’organizzazione medico umanitaria Medici Senza Frontiere (MSF) tra i rifugiati Rohingya in Bangladesh.

Secondo le stime più prudenti, sui 9 mila decessi accertati, nel 71.7% dei casi la causa del decesso è legata direttamente alla violenza. In un solo mese 6.700 Rohingya hanno perso la vita colpiti da armi da fuoco (69% dei casi negli adulti; 59% nei bambini), bruciati vivi nelle loro case (9% negli adulti; 15% nei bambini), per violenti percosse (5% negli adulti; 7% nei bambini) e a causa dell’esplosione di mine (2% nei bambini).

I numeri dimostrano come i Rohingya siano stati il bersaglio della spirale di violenza iniziata il 25 agosto scorso quando l’esercito e la polizia del Myammar, oltre ad alcune milizie locali, hanno lanciato l’operazione di sgombero nello Stato di Rakhine in risposta agli attacchi dell’Esercito per la salvezza dei Rohingya dell’Arakan. Da allora, più di 647.000 Rohingya sono fuggiti dal Myammar per trovare rifugio in Bangladesh, dove oggi vivono in campi sovraffollati e in scarse condizioni igieniche.

“Abbiamo incontrato e parlato con i sopravvissuti delle violenze in Myammar e ciò che abbiamo scoperto è sconcertante. È davvero alto il numero di persone che ha riferito di aver perso un componente della famiglia a causa della violenza, a volte nei modi più atroci. Il picco di morti coincide con il lancio delle operazioni da parte delle forze di sicurezza del Myanmar nell’ultima settimana di agosto”, afferma il dott. Sidney Wong, direttore medico di MSF.

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I dati raccolti da MSF sono il risultato di sei analisi retrospettive sulla mortalità condotte nei primi giorni di novembre in diverse aree dei campi profughi Rohingya a Cox’s Bazar in Bangladesh, poco oltre il confine con il Myanmar. La popolazione totale coperta dall’analisi è di 608.108 persone; tra loro 503.698 sono fuggite dal Myanmar dopo il 25 agosto.

Il tasso di mortalità totale – tra il 25 agosto e il 24 di settembre – tra la popolazione intervistata è di 8 persone su 10.000 al giorno, che equivale al decesso del 2,26% (con un intervallo di confidenza che va dall’1,87% al 2,73%) del campione della popolazione. Applicando questa proporzione alla popolazione totale arrivata in Bangladesh dal 25 agosto nei campi presi in esame dalle ricerche, il numero di Rohingya morti nel primo mese dopo l’inizio del conflitto si attesterebbe tra le 9.425 e le 13.759 persone, includendo almeno 1.000 bambini di età inferiore ai 5 anni.

“Il numero totale dei decessi è probabilmente sottostimato perché MSF non ha condotto indagini in tutti i campi profughi in Bangladesh, oltre a non essere riuscita a intervistare i Rohingya ancora in Myanmar – spiega il dott. Sidney Wong – Abbiamo sentito parlare di intere famiglie morte nelle loro case a cui era stato dato fuoco”.

“Ancora oggi molte persone stanno fuggendo dal Myanmar verso il Bangladesh. Chi riesce ad attraversare il confine racconta di essere stato vittima di violenza nelle ultime settimane – aggiunge il dott. Wong – Sono inoltre davvero pochi gli organismi di aiuto indipendenti in grado di accedere nel distretto di Maungdaw, nello Stato di Rakhine, e per questo temiamo per il destino dei Rohingya che sono ancora lì”.

“La firma di un accordo per il ritorno dei Rohingya tra i governi di Myanmar e Bangladesh è prematura. I Rohingya non possono essere costretti a ritornare in Myanmar e la loro sicurezza e i loro diritti devono essere garantiti prima che qualsiasi piano di rientro venga preso seriamente in considerazione”, conclude il dott. Wong.

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