Tumori, al via il primo progetto per gestire i nuovi bisogni del paziente oncologico

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Stefania Gori, presidente AIOM: “Molte neoplasie sono diventate patologie croniche. Ed emergono necessità impensabili soltanto dieci anni fa”. Fabrizio Nicolis, presidente Fondazione AIOM: “Vogliamo creare collaborazioni strutturate fra centri oncologici, medici di famiglia e farmacisti: lo chiedono con forza i malati

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Roma, 28 febbraio 2018 – Solo il 57% dei pazienti colpiti da cancro riferisce al medico i piccoli disturbi legati alla malattia o alle terapie, contro il 98% che affronta con l’oncologo gli effetti collaterali ritenuti rilevanti.
Spossatezza, nervosismo, difficoltà ad addormentarsi, lieve dissenteria, mancanza di appetito, gonfiore e secchezza vaginale sono piccoli fastidi molto frequenti fra i pazienti oncologici italiani, che sembrano però restare nella terra di nessuno.

Il 54%, infatti, ritiene che il medico di famiglia non sia un interlocutore adeguato sulle neoplasie e il 79% lamenta l’assenza di dialogo fra oncologi e medici del territorio. E solo il 9% si rivolge al farmacista di fiducia per avere consigli su come affrontare questi disturbi.

È la fotografia che Fondazione AIOM e AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) hanno scattato con la prima fase del progetto nazionale “I nuovi bisogni del paziente oncologico e la sua qualità di vita”, presentato oggi al Senato in un convegno nazionale.

“Nel nostro Paese – spiega Stefania Gori, presidente nazionale AIOM e direttore del dipartimento oncologico dell’Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria, Negrar-Verona – vivono più di 3 milioni e trecentomila persone dopo la diagnosi di tumore, una percentuale in costante aumento, addirittura il 24% in più rispetto al 2010. E la malattia sta diventando sempre più cronica grazie a armi efficaci come l’immuno-oncologia e le terapie a bersaglio molecolare che si aggiungono a chirurgia, chemioterapia, ormonoterapia e radioterapia. Evidenti i risultati raggiunti in alcune delle neoplasie più frequenti: la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi raggiunge il 91% nel tumore della prostata, l’87% nel seno, il 79% nella vescica e il 65% nel colon-retto”.

“Questi cittadini presentano nuovi bisogni, impensabili fino a dieci anni fa – aggiunge Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione AIOM – di fronte ai quali gli operatori sanitari sono spesso impreparati. Da un lato, gli specialisti raramente vengono coinvolti dai pazienti nella gestione di questi piccoli effetti collaterali, dall’altro ai medici di famiglia, come ai farmacisti, non vengono offerti gli strumenti necessari per fornire risposte adeguate. Con la conseguenza che i pazienti e i loro familiari si muovono troppo spesso in modo autonomo cercando soluzioni prive di basi scientifiche. Vogliamo invece creare una nuova alleanza fra oncologi, medici di famiglia e farmacisti per gestire e trasferire sul territorio la cura di questi aspetti. Per questo siamo partiti coi sondaggi e i focus con tutte le figure coinvolte, iniziando proprio dai pazienti: è il primo progetto di questo tipo in Italia che può portare ad un concreto miglioramento della qualità di vita dei malati e dei loro familiari, con un consistente risparmio per il sistema sanitario nazionale, grazie alla diminuzione di visite specialistiche, spesso non più necessarie, con la possibilità di liberare risorse per rendere disponibili le terapie innovative a tutti i malati in tempi brevi”.

L’82% degli oncologi dichiara di essere preparato nella gestione di queste problematiche. Però il 39% evidenzia la sottovalutazione da parte degli stessi clinici di questi disturbi, che per il 52% possono influenzare in senso negativo l’adesione ai trattamenti.

“Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione delle persone colpite dal cancro su questi aspetti, come evidenziato dall’82% dei medici di famiglia e dall’89% degli oncologi – sottolinea Nicolis – I pazienti rivolgono sempre più spesso domande sulla dieta da seguire, l’attività fisica che possono praticare e il senso di disagio psicologico con cui sono spesso costretti a convivere. Per questo è fondamentale migliorare il livello di consapevolezza di tutti gli attori coinvolti. Il nostro progetto vuole infatti creare rapporti di collaborazione strutturati e preferenziali fra centri oncologici, medicina del territorio, farmacisti che vadano oltre le visite di controllo successive alla fase acuta della malattia”.

Il 93% dei medici di famiglia afferma, infatti, di non avere a disposizione un canale diretto (ad esempio un numero verde dedicato) che facili il dialogo con lo specialista. “Il 72% dei medici di medicina generale, su 1.500 assistiti, segue in media fra 50 e 100 pazienti oncologici – afferma Andrea Salvetti, responsabile oncologia della SIMG (Società Italiana di Medicina Generale, presieduta da Claudio Cricelli) – Una situazione impensabile solo dieci anni fa, quando questa percentuale era molto contenuta. Dopo la diagnosi, i pazienti o i familiari si recano dal medico di famiglia per informarlo della nuova condizione di malattia. Nel 75% dei casi chiedono dove rivolgersi e quale centro preferire. Il rimanente 25% ha già scelto il percorso di cura. Dopo questo primo momento della comunicazione della diagnosi, il medico di famiglia ha rapporti quasi saltuari con il malato, che è preso in carico dallo specialista. La relazione viene ristabilita quando il paziente torna a casa, una volta terminata la fase acuta della malattia. Un documento dettagliato del centro specialistico informa il medico di famiglia sulle terapie somministrate e sugli eventuali effetti collaterali. Questo report è fondamentale, perché negli ultimi anni sono state rese disponibili molte nuove molecole e non sempre le conosciamo. Infatti il 66% ritiene scarso il proprio livello di conoscenza delle terapie innovative”.

La reciproca collaborazione nella gestione dei piccoli disturbi è considerata scarsa o sufficiente dal 76% degli oncologi e dal 73% dei medici di famiglia. “Molto è lasciato alle conoscenze personali del centro oncologico di riferimento della zona – sottolinea Salvetti – Talvolta siamo costretti a comporre più volte il numero del centralino dell’ospedale, sperando di intercettare prima o poi un collega oncologo”.

Il progetto prevede anche il coinvolgimento delle farmacie, per facilitare una distribuzione capillare sul territorio degli attori in grado di supportare i malati. Oggi il 68% dei pazienti non li ritiene interlocutori affidabili per chiedere consigli su questi temi.

“Il farmacista in farmacia non fa il medico, il suo ruolo è quello di traduttore di senso, deve spiegare le terapie non integrarle soprattutto in situazioni delicate tenute sotto controllo medico – conclude Paolo Vintani, vicepresidente Federfarma Milano – Il 59% dei farmacisti dichiara di non sentirsi completamente pronto a consigliare al paziente il giusto percorso per risolvere i piccoli disturbi, soprattutto perché i farmaci oncologici non passano attraverso la farmacia e quindi non abbiamo occasione di conoscere le loro interazioni. Il 92% delle farmacie vorrebbe maggiori informazioni. La creazione di un percorso strutturato con gli oncologi e i medici di famiglia può creare le condizioni per una reale reintegrazione dei cittadini colpiti dal cancro nella società e nel mondo del lavoro”.

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