Tumore della prostata: nuova terapia riduce rischio metastasi del 58% ed evita la castrazione farmacologica

Lo studio EMBARK presentato in sessione plenaria al Congresso dell’American Urological Association. Coinvolti 1.068 pazienti con malattia in fase precoce, già sottoposti a prostatectomia o a radioterapia radicali. Prof. Ugo De Giorgi, Direttore Oncologia Clinica e Sperimentale all’IRST di Meldola: “Enzalutamide ha evidenziato anche un miglioramento del 93% del tempo alla progressione del PSA. Potrà cambiare lo standard di cura, rappresentato per decenni dalla sola deprivazione androgenica, con i relativi effetti collaterali come perdita della funzione sessuale e della libido. In Italia circa 8000 i pazienti candidati ogni anno alla nuova terapia”

Milano, 2 maggio 2023 – Si può curare il tumore della prostata senza ricorrere alla castrazione farmacologica. È la prima volta nella storia del carcinoma prostatico che viene raggiunto questo importante risultato, che può cambiare lo standard di cura, rappresentato per decenni proprio dalla deprivazione androgenica, altrimenti detta castrazione farmacologica ovvero l’abbattimento dei livelli di testosterone, con i relativi effetti collaterali (andropausa, perdita della funzione sessuale e della libido).

Un farmaco anti-androgeno di nuova generazione, enzalutamide, associato a terapia di deprivazione androgenica, ha evidenziato una riduzione del 58% della probabilità che la malattia si diffonda in altre parti del corpo (cioè metastasi a distanza), un miglioramento del 93% del tempo alla progressione dell’antigene prostatico specifico (PSA) e del 64% del tempo all’utilizzo di una nuova terapia antineoplastica (di solito chemioterapia).

Importanti anche i risultati con solo enzatulamide, con miglioramenti pari, rispettivamente, al 37%, 67% e 46%. I dati emergono dallo studio di fase 3 EMBARK, presentati in sessione plenaria al Congresso dell’American Urological Association che si è chiuso ieri a Chicago. La sperimentazione ha coinvolto 1.068 pazienti con carcinoma prostatico in fase precoce, non metastatico, sensibile agli ormoni, già sottoposti a prostatectomia o a radioterapia radicali, con recidiva biochimica ad alto rischio (intesa come un progressivo incremento del PSA con un tempo di raddoppiamento inferiore a 9 mesi).

“Siamo orgogliosi di aver contribuito alla realizzazione dello studio EMBARK ed è la conferma del ruolo di primo piano dell’Italia nella ricerca internazionale – spiega Ugo De Giorgi, Direttore Oncologia Clinica e Sperimentale dell’IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori ‘Dino Amadori’, IRST, di Meldola, unico italiano e tra i pochissimi europei firmatari di questo lavoro – I pazienti sono stati arruolati fra il 2015 e il 2018. EMBARK è uno dei primi studi che ha valutato un farmaco anti-androgeno di nuova generazione associato a terapia di deprivazione androgenica, quando il tumore della prostata è in fase molto precoce e vi sono ancora concrete possibilità di guarigione. La terapia è stata iniziata dopo prostatectomia o radioterapia radicali, in presenza di segni biochimici di ricomparsa della malattia, come il rapido tempo di raddoppiamento del PSA”. Nel 2022, in Italia, sono state stimate 40.500 nuove diagnosi di tumore della prostata, il più frequente negli uomini.

“Dopo il trattamento primario, due pazienti su tre guariscono, ma si stima che, dieci anni dopo aver ricevuto una terapia ‘definitiva’ per il carcinoma prostatico, circa un terzo vada incontro a recidiva biochimica con livelli di PSA che aumentano progressivamente – continua il prof. De Giorgi – E questi uomini hanno maggiori probabilità di morire per il cancro. Da qui il bisogno di intervenire con terapie efficaci, in grado di evitare che la malattia si diffonda e diventi metastatica. Finora lo standard era rappresentato dalla castrazione farmacologica, che garantisce remissioni durature ma pesanti effetti collaterali. Va peraltro sottolineato che alcuni pazienti, circa il 10%, soprattutto giovani, rifiutano questa opzione o cercano di ritardarla il più possibile, anche perché in questa fase la neoplasia non mostra segni evidenti o metastasi a distanza, se non un innalzamento dei valori di PSA. Ma la dilazione delle cure può portare a una progressione rapida del tumore e a una peggiore prognosi”.

Nello studio EMBARK, 355 pazienti sono stati trattati con enzalutamide più terapia di deprivazione androgenica (leuprolide), 358 con placebo più terapia di deprivazione androgenica e 355 con enzalutamide in monoterapia. Le opzioni che includevano enzalutamide sono risultate le più efficaci.

“Si stima che ogni anno, in Italia, possano essere circa 8000 i pazienti candidati a questo trattamento – sottolinea il prof. De Giorgi – Gli obiettivi terapeutici nel carcinoma prostatico non metastatico sono ritardare la comparsa di metastasi e prolungare la sopravvivenza globale, mantenendo invariata la qualità di vita. I risultati raggiunti da questo studio sono davvero di grandissima portata e mai visti finora nella storia del carcinoma prostatico. Enzalutamide è un anti-androgeno, privo degli effetti collaterali della castrazione farmacologica”.

“Per la prima volta, grazie ai risultati preliminari di questo studio, è dimostrato che è possibile evitare del tutto la castrazione farmacologica. I dati di sopravvivenza globale saranno disponibili con il proseguimento dello studio, ma è prevedibile un netto miglioramento anche di questo parametro come conseguenza della riduzione del rischio di metastasi a distanza”, conclude il prof. De Giorgi.

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