SARS-CoV-2, in sperimentazione nuovo vaccino italiano. Gli studi scientifici dell’Università di Verona

Verona, 1 settembre 2020 – Già dall’inizio dell’epidemia l’università di Verona è in prima linea con studi e ricerche nei diversi ambiti, spaziando dalla diagnostica alla terapia fino ad arrivare alla recente collaborazione con lo Spallanzani di Roma per la sperimentazione sull’uomo di Grad-CoV2, il candidato vaccino italiano contro SARS-CoV-2, il virus che causa Covid-19. Il Centro ricerche cliniche dell’azienda ospedaliero universitaria integrata di Verona è stato, infatti, chiamato a dare il suo contributo sia nella definizione del protocollo di studio che nella realizzazione della fase clinica della ricerca.

Il vaccino, realizzato, prodotto e brevettato dalla società biotecnologica italiana ReiThera, ha superato i test preclinici effettuati sia in vitro che in vivo su modelli animali, che hanno evidenziato la forte risposta immunitaria indotta dal vaccino e il buon profilo di sicurezza, ottenendo successivamente l’approvazione della fase 1 della sperimentazione sull’uomo da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Agenzia Italiana del Farmaco e del Comitato Etico Nazionale per l’Emergenza Covid-19.

Il vaccino Grad-Cov2 utilizza la tecnologia del “vettore virale non-replicativo”, ovvero incapace di produrre infezione nell’uomo. Il vettore virale agisce come un minuscolo “cavallo di Troia”, che induce transitoriamente l’espressione della proteina spike (S) nelle cellule umane. Questa proteina è la ‘chiave’ attraverso la quale il virus, legandosi ai recettori Ace2 presenti all’esterno delle cellule polmonari, riesce a penetrare ed a replicarsi all’interno dell’organismo umano. La presenza della proteina estranea innesca la risposta del sistema immunitario contro il virus.

Attraverso tecniche sofisticate questo virus, assolutamente innocuo per l’uomo, è stato modificato per azzerarne la capacità di replicazione; successivamente è stato inserito al suo interno il gene della proteina S del SARS-CoV-2, il principale bersaglio degli anticorpi prodotti dall’uomo quando il coronavirus penetra nell’organismo.

Una volta iniettato nelle persone, questo virus modificato, o meglio la proteina S che trasporta, provocherà la risposta del sistema immunitario dell’organismo, ovvero la produzione di anticorpi in grado di proteggere dal virus SARS-CoV-2.

Altri vaccini basati su vettori virali ricavati dai primati sono già stati valutati in trial clinici di fase 1 e 2 per candidati vaccini di altre malattie infettive, dimostrando di essere sicuri e di generare risposte immunitarie consistenti anche con una singola dose di vaccino.

Le prime dosi vaccinali a Verona saranno somministrate dal 7 settembre. Una dimostrazione della bontà delle scelte fatte dalla Regione Veneto e dall’università di Verona che hanno sempre creduto nella necessità di centri dedicati alla ricerca clinica di fase precoce.

Progetto Sentinella
Prosegue il progetto “Sentinella” promosso dall’università, dall’Azienda ospedaliera universitaria integrata e dal Comune di Verona che ha lo scopo principale di identificare precocemente la diffusione del virus SARS-CoV-2 nella popolazione di Verona, al fine di mettere in atto interventi efficaci di prevenzione per evitare una diffusione massiva nella popolazione, l’aumento della mortalità nelle porzioni fragili e la congestione degli ospedali con conseguente riduzione delle possibilità di cura e diagnosi della popolazione per patologie non Covid-19.

Il progetto si inserisce e integra la programmazione regionale della Fase 3 andando ad identificare gruppi di soggetti residenti/domiciliati nel Comune di Verona come popolazioni ‘sentinella’ che possano presentare precocemente i primi segni di diffusione del virus. Nello specifico la sorveglianza verrà attuata su:

  1. Soggetti di sesso femminile con età superiore a 75 anni e soggetti di sesso maschile con età superiore a 65 anni;
  2. Conducenti di mezzi pubblici (esempio autobus linee urbane ed extra-urbane, taxi);
  3. Lavoratori addetti al banco cassa nel settore della ristorazione e nei supermercati/ipermercati;
  4. Studenti dell’università di Verona, con particolare riferimento a quanti alloggiano presso le residenze universitarie gestite dall’Esu, ente della Regione Veneto;
  5. Operatori della ristorazione (bar e mense) e delle pulizie nelle strutture sanitarie o delle grandi aziende

Gli eventuali soggetti positivi, asintomatici o sintomatici, saranno seguiti secondo i protocolli sanitari previsti dalla Regione Veneto.
Il progetto, coordinato dal Magnifico Rettore, da Evelina Tacconelli e da Roberto Leone, vede il coinvolgimento di numerosi esperti dell’università, dell’Aoui e della Ulss-9 quali Corrado Barbui, Davide Gibellini, Domenico Girelli, Roberta Joppi, Giuseppe Lippi, Stefania Montemezzi, Albino Poli, Stefano Porru, Elda Righi, Giuseppe Verlato.

Ricerca in ambito terapeutico
Da aprile la Divisione di Malattie Infettive del dipartimento di Diagnostica e sanità pubblica dell’università di Verona (Principal Investigator: Evelina Tacconelli) è centro coordinatore italiano di Solidarity importante trial multicentrico, multinazionale, promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e autorizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

Lo studio, di carattere internazionale, coinvolge già migliaia di pazienti affetti da Covid-19 con l’obiettivo di valutare le differenti strategie terapeutiche tra cui antivirali (remdesivir e lopinavir/ritonavir da solo o in combinazione con interferone beta), clorochina e idrossiclorochina. La collaborazione con l’OMS e con gli altri Paesi, la possibilità di attivare in tempi rapidi studi di ampio respiro internazionale rappresentano un valore aggiunto e un’importante occasione per coniugare la garanzia di accesso alle terapie e la possibilità di ottenere evidenze scientifiche da studi clinici controllati.

Da maggio Verona, insieme a Milano, coordina anche Ammuravid, approvato sempre da Aifa e promosso dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali, un trial pragmatico, cioèdisegnato per conoscere gli effetti di un dato trattamento sulla popolazione nella vita reale, per verificare l’efficacia dell’utilizzo dell’immunoterapia in aggiunta ad antivirali nelle forme di Covid-19 in trattamento ospedaliero.

Lo studio è disegnato in modo da fornire tutti i dati necessari per la registrazione dei farmaci sperimentali per il trattamento di Covid-19 in modo da renderli rapidamente disponibili per i pazienti in tutte le strutture ospedaliere e non solo in quelle che abitualmente partecipano a ricerche farmacologiche avanzate.

Ammuravid è il primo studio europeo che, con un approccio metodologico avanzato, valuta in maniera comparativa e contemporanea differenti opzioni di immunomodulatori per la riduzione della mortalità e della necessità di assistenza respiratoria nei pazienti con polmonite da Covid-19. I risultati delle terapie, che verranno già valutati nel corso dello studio, saranno utili per definire i farmaci più efficienti da portare avanti nella sperimentazione e forniranno risposte basate sulla evidenza per la terapia di Covid-19.

Il 19 maggio la Commissione Europea ha stanziato 129,5 milioni di euro per il finanziamento di progetti innovativi che si propongono di fornire soluzioni rapide alla società civile e ai sistemi sanitari in risposta all’epidemia di SARS-CoV-2. Questi fondi provengono da Horizon 2020, il programma di ricerca e innovazione dell’Unione Europea e fanno parte del contributo di 1,4 miliardi di euro destinato dalla Commissione Europea al Coronavirus Global Response.

L’11 agosto 2020 la Commissione Europea ha annunciato che 23 progetti sono stati selezionati per il finanziamento. Tra questi c’è Orchestra (Connecting european cohorts to increase common and effective response to SARS-CoV-2 pandemic), coordinato dalla Sezione di Malattie Infettive dell’università di Verona, l’unico progetto selezionato per il finanziamento nella call “Pan-European COVID-19 cohorts” con un budget di 19,9 milioni di euro.

Il consorzio coordinato da UNIVR include 10 Paesi europei (Francia, Germania, Spagna, Italia, Belgio, Romania, Paesi Bassi, Portogallo, Lussemburgo e Slovacchia) e 9 extra-europei (India, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Argentina, Brasile, Congo e Gabon).

Lo scopo principale di Orchestra è la creazione di una coorte paneuropea per la definizione di modelli di prevenzione e di terapia efficaci della infezione da SARS-CoV-2. La coorte includerà quattro tipologie diverse di individui: popolazione generale, pazienti affetti da Covid-19, individui fragili (infezione da HIV, malattia di Parkinson, donne in gravidanza e bambini) e operatori sanitari.

Il progetto utilizzerà tecniche innovative di microbiologia, genomica, statistica (intelligenza artificiale e modelli matematici) e piattaforme di condivisione di dati sensibili tra Paesi Europei che permetterà una valutazione sincronica di aspetti clinici, microbiologici, socio-economici ed ambientali di queste popolazioni in modo da fornire solide evidenze scientifiche per il controllo e la gestione di una seconda ondata di Covid-19.

L’inclusione di soggetti SARS-CoV-2 positivi consentirà una definizione dei fattori di rischio per l’acquisizione e la progressione della malattia associata a SARS-CoV2 e soprattutto per le conseguenze a lungo termine. L’inclusione della popolazione generale consentirà di studiare gli effetti dell’epidemia sul resto della società quali il ritardo delle cure dovuto alla epidemia di SARS-CoV-2. La coorte Orchestra sarà inoltre costruita in modo da essere immediatamente disponibile per studi di vaccinazione, appenda disponibili su larga scala.

Il progetto Orchestra risponde al bisogno urgente di proteggere la popolazione generale e fornire rapidamente risposte che migliorino l’assistenza alle persone colpite. Il progetto avrà un impatto significativo sulle reazioni all’epidemia corrente e potrà essere utilizzato come modello per la risposta a nuove future minacce per la salute pubblica.

Ma la ricerca continua. Ieri, 31 agosto, è stato pubblicato sul prestigioso “Journal of Clinical Investigation” uno studio coordinato dall’Immunologia diretta da Vincenzo Bronte e dalla Medicina Interna diretta da Oliviero Olivieri, in collaborazione con l’ospedale “Pederzoli” di Peschiera del Garda, sull’utilizzo di Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, ed usato in modo “off-label” per il suddetto studio nei pazienti affetti da Covid-19.

Il lavoro fornisce la dimostrazione che i pazienti trattati con Baricitinib mostrano una marcata riduzione dei livelli sierici delle “temibili” citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma ed il titolo anticorpale contro il virus si alza. In altri termini, il farmaco ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid.

Tutto questo è associato non solo ad una riduzione del fabbisogno di ossigeno per i pazienti e quindi a un miglioramento clinico della polmonite, ma anche ad un effetto sulla sopravvivenza dei pazienti. Solo uno dei 20 pazienti trattati con Baricitinib (5%) è deceduto dopo il completamento del trattamento terapeutico, rispetto a 25 pazienti morti su 56 (45%) nel gruppo di pazienti non trattati.

Sebbene i dati clinici vadano confermati con studi più ampi e randomizzati, il lavoro ha il merito di porre al centro dell’attenzione un particolare sistema di attivazione molecolare che sembra cruciale (una sorta di “centralina” infiammatoria) nel perpetrare il danno da Covid.

Poiché il trattamento è per via orale, esso può esser somministrato anche fuori dall’ospedale. Ciò può limitare le conseguenze negative della pandemia ed essere, quindi, di estrema rilevanza per i sistemi sanitari di tutto il mondo.

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