Partorire senza dolore, in Italia solo il 20% delle donne ricorre alla partoanalgesia

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Intervista alla dott.ssa Maria Grazia Frigo, responsabile dell’Unità Operativa di Anestesia Ostetrica dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma

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Dottoressa, in Italia solo alcune Regioni si accollano gli oneri di spesa per garantire l’analgesia per il travaglio e il parto 24 ore su 24. Quali suggerimenti darebbe per far sì che sia garantita non solo a macchia di leopardo ma a livello nazionale? È possibile fare una stima di quanti parti vaginali avvengono, in Italia, in analgesia epidurale?

Nonostante l’analgesia sia stata introdotta nei LEA il 18 marzo 2017, la situazione nazionale non si è modificata, in quanto, delegando alle regioni l’applicazione delle indicazioni del piano sanitario nazionale, questo non si è tradotto nella maggior parte delle regioni in un DRG (Raggruppamenti omogenei di diagnosi). Questo, rende inoltre estremamente difficile quantificare la reale erogazione della procedura parto indolore oltre a non tradursi di fatto nella garanzia di un diritto sancito dal LEA.

Si stima comunque che le partorienti che possano usufruire di un’analgesia in travaglio gratuita e istituzionalmente garantita 24 ore al giorno, non superi il 20% dei parti. La modalità organizzativa “isorisorse” in assenza di un vero e proprio investimento economico finanziario, determina una sorta di diseguaglianza e nega un diritto, a mio avviso inviolabile, a partorire senza dolore per libera scelta.

L’eccessivo numero di punti nascita a bassa natalità oltre ad aumentare un inappropriato ricorso al taglio cesareo con ricadute negative sulla sicurezza materno-feto-neonatale, determina una dispersione di risorse umane e compromette la possibilità di offrire un’analgesia su richiesta materna libera e gratuita 24 ore al giorno.

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Dott.ssa Maria Grazia Frigo

A tutto questo si ovvierebbe con la chiusura delle piccole realtà e una concentrazione di risorse su punti nascita di maggiori dimensioni che ovviamente implementerebbe anche le competenze tecniche degli operatori stessi e giustificherebbe la costituzione di servizi di anestesia ostetrica dedicati H24.

Non basta una specializzazione in anestesia e rianimazione per costruire un professionista competente in un ambito, come quello ostetrico gravato per altro da un elevato contenzioso, serve una formazione adeguata ma anche un certo numero di procedure (clinical competence) che sono possibili solo laddove la casistica lo permette. Ovviamente lo stesso discorso vale per tutte le figure professionali del percorso nascita quali il ginecologo, l’ostetrica ed il neonatologo.

Quanto incide la componente psichica nelle donne che chiedono l’epidurale?

Non esiste un unico dolore del parto perché molte sono le variabili ostetriche e non solo che ne variano l’intensità di percezione. Il dolore del parto è comunque uno dei dolori acuti più intensi che si possano provare, secondario solo all’amputazione di un dito, ma ha una sola attenuante ossia la finalità di gioia legata alla nascita che permette nella rielaborazione della percezione dolorosa e soprattutto nel ricordo, una diversa valutazione esperienziale.

La paura del dolore può costituire un’aggravante e questo spesso in Italia è il motivo di un ricorso non giustificato al taglio cesareo per autodeterminazione o, peggio ancora per fobia laddove non viene garantito il diritto di libera scelta nel parto indolore.

Mi sono sempre chiesta per quale motivo una donna sana di mente voglia soffrire quando può ricorrere a una modalità sicura di controllo e vivere più consapevolmente e serenamente il proprio parto. Il controllo del dolore non deve essere considerato un optional o peggio un paracadute per donne psicologicamente fragili ma offerto, dopo un percorso di preparazione al parto scevro di fanatismi ideologici e solo allora la partoriente potrà fare una scelta serena nel momento in cui si confronterà col proprio dolore.

Perché nel nostro Paese la partoanalgesia non è ancora così popolare? Ci sono motivi di ordine culturale, di scarsa conoscenza della metodica o per carenze organizzative?

In ordine metterei dapprima un substrato culturale che vede il dolore esclusivamente nella sua componente emozionale e non come campanello di allarme, soprattutto nella diversamente fisiologica che è la gravida, in cui se non contenuto o controllato può avere ripercussioni negative sul benessere materno-fetale.

A seguire è correlata l’assoluta mancanza di conoscenze e competenze sulla metodica e sulla gestione dell’analgesia perimidollare e sull’impatto della stessa sul travaglio-parto. Le carenze organizzative di cui in precedenza trattavo, non sono che la conseguenza della scarsa valorizzazione che si da alla nascita in sicurezza.

Non comprendo come ci si preoccupi della carenza di anestesisti per la partoanalgesia e si soprassieda al fatto che in troppe realtà l’urgenza in sala parto che è una delle più drammatiche, viene garantita dall’unico anestesista della struttura che magari è contemporaneamente impegnato in altre urgenze.

Quanto è importante che l’analgesia peridurale sia eseguita da un anestesista con esperienza in campo ostetrico? Quale valore aggiunto è necessario?

L’anestesia e terapia intensiva ostetrica deve essere considerata un ambito di specialità a se stante così come lo è la pediatrica, la cardio e la neuroanestesia. Ovviamente è necessaria una formazione che non si limiti alla competenza tecnica nell’esecuzione della procedura peraltro indispensabile ma che affronti tutte le criticità del contesto dalla richiesta di analgesia alle conoscenze della fisiopatologia del dolore e del travaglio, alla valutazione del benessere feto-neonatale, alla farmacologia materno-fetale ed alla gestione dell’emergenza urgenza e terapia intensiva nella gravida critica.

Per quanto riguarda la technical competence, ritengo che l’anestesista debba mantenere un numero di almeno 100 procedure perimidollari/anno in sala parto per contenere in termini accettabili l’incidenza di complicanze.

L’Italia detiene la percentuale più elevata di ricorso al taglio cesareo pari al 38%, seguita dal Portogallo con il 33%, mentre tutti gli altri Paesi presentano percentuali inferiori al 30% che scendono al 15% in Olanda e al 14% in Slovenia. Perché deteniamo ancora questo ‘negativo’ primato?

Il facile ricorso al taglio cesareo in Italia che peraltro ha una spiccata latitudine-dipendenza essendo molto più elevato nelle regioni del centro-sud dove non a caso è più elevata anche la mortalità materna, può essere solo in parte giustificato da motivazioni di medicina difensiva ma è conseguenza della dispersione dei punti nascita, del prevalere della sanità privata e dell’assoluta impossibilità in molte realtà di offrire un parto indolore in alternativa al parto cesareo.

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