Neurochirurgia ricostruttiva, il punto sulle nuove terapie

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Dal 12 al 14 settembre a Cerveteri il IV Congresso mondiale dell’International Society of Reconstructive Neurosurgery riunirà i maggiori esperti per un confronto sui più aggiornati trattamenti terapeutici conservativi

medici-chirurghi-in-sala-operatoriaRoma, 10 settembre 2015 – I tumori cerebrali, le malformazioni vascolari (aneurismi, angiomi e cavernomi), la neuromodulazione, i traumi cranici, la chirurgia della colonna vertebrale e del midollo spinale sono gli argomenti al centro del IV Congresso Mondiale dell’International Society of Reconstructive Neurosurgery (ISRN), Società Scientifica Internazionale di Neurochirurgia ricostruttiva, che si svolgerà dal 12 al 14 settembre a Cerveteri, presso Palazzo Ruspoli.

Il Congresso, che si apre alle ore 14.00 di sabato 12 settembre, in parallelo al VII Scientific Meeting del Neurorehabilitation Committee della World Federation of Neurosurgial Societies (WFNS), è presieduto dal prof. Massimiliano Visocchi, neurochirurgo presso l’Università Cattolica – Policlinico A. Gemelli di Roma, assieme al prof. Francesco Tomasello, Presidente del Collegio dei professori ordinari di neurochirurgia d’Italia.

Il congresso vedrà la partecipazione di numerosi esperti mondiali del settore, tra cui: Alessandro Olivi (Baltimora USA), Fred Gentili (Canada), Antonio Bernardo (New York), Concezio Di Rocco (Hannover Germania), K. Von Wild (Germania), Takamitsu Yamamoto (Giappone), N. Saeki (Giappone), Wai S. Poon (Hong Kong), Armando Basso (Argentina).

In apertura dei lavori interverranno il Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, prof. Rocco Bellantone, e il Direttore generale del Policlinico A. Gemelli, ing. Enrico Zampedri.

“In neurochirurgia – spiega il prof. Massimiliano Visocchi – ‘ricostruire’ vuol dire ricomporre strutture anatomiche del cranio–encefalo e del complesso vertebro-midollare che sono alterate, ristabilirne una morfologia più prossima possibile alla norma. ‘Riabilitare’ vuol dire porre in essere tutte quelle procedure chirurgiche che direttamente o indirettamente riattivano una funzione perduta anche senza una vera e propria ricostruzione morfologica. Questa branca particolare della neurochirurgia – continua Visocchi – propone qualcosa di più conservativo, meno invasivo e rispettoso della normale fisionomia del sistema nervoso”.

In occasione del congresso il prof. Massimiliano Visocchi sarà nominato Presidente dell’International Society of Reconstructive Neurosurgery.

I tumori cerebrali
Il glioblastoma è il più aggressivo tumore cerebrale della “serie gliale”; esso origina dal tessuto connettivo del cervello, che si chiama appunto “glia”. La storia naturale di questa malattia appare particolarmente scoraggiante limitandosi l’aspettativa di vita a circa due mesi dalla diagnosi in assenza di alcuna terapia. La ricerca di una possibile soluzione terapeutica ha portato negli ultimi decenni al trattamento multidiscliplinare del problema, convocando equipe di radioterapisti e di chemioterapisti a collaborare con il chirurgo: da questa intesa sono state aperte nuove prospettive.

Attualmente la terapia radiante e la farmacoterapia con farmaci citostatici, in grado cioè di rallentare la crescita dei tumori maligni in associazione al preliminare trattamento chirurgico, hanno migliorato la prognosi del glioblastoma portandola a circa un anno dall’inizio della terapia. La guarigione è ancora una meta lontana, anche se si è cominciato a parlare di terapia genetica, di cellule staminali e di immunoterapia.

Le malformazioni vascolari
Meglio noti come aneurismi (dilatazioni segmentarie), fistole artero venose (abnormi comunicazioni tra arterie e vene senza il passaggio nella rete capillare con relativa cessione di nutritivi al cervello) angiomi e cavernomi (grovigli di vasi e capillari), questi “non sensi” emodinamici si associano ad elevato rischio di rottura con emorragia e furto vascolare dai tessuti cerebrali che pertanto si “inaridiscono” ischemizzandosi.

La chirurgia tradizionale, ancorché valida ed efficace, oggi cede il posto alla neuroradiologia interventistica con le embolizzazioni, cioè occlusioni dei vasi anomali con colle e spirali metalliche iniettate attraverso micro cateteri inseriti in arterie periferiche come quelle delle gambe. Infine la radiochirurgia, la rapida somministrazione cioè di elevate dosi di radiazioni concentrate sul nido della malformazione, è capace di provocare fenomeni occlusivi “spontanei” nella malformazione stessa, ma che presentano il limite del tempo necessario, relativamente lungo (2-3 anni), perché si concretizzi.

La neuromodulazione
Neuromodulare significa interferire con il sistema nervoso mediante la somministrazione di sostanze chimiche ad effetto farmacologico nel compartimento cranico e vertebrale e la stimolazione elettrica dell’encefalo (cervello tronco e cervelletto), midollo spinale e nervi periferici. Peculiarità della neuromodulazione è la reversibilità dell’effetto con la sua interruzione.

Oggi è possibile trattare il dolore, i disturbi del movimento (spasticità, m. di Parkinson, e altre distonie), i disturbi sfinterici (vescica neurologica), le vasculopatie periferiche (morbo di Burgher, distrofia simpatico-riflessa, arteriosclerosi) e centrali (angina pectoris, ictus cerebrale ischemico), la sordità, l’apnea di origine centrale e l’epilessia attraverso la cosiddetta “neuromodulazione”, trattamento terapeutico che si distingue da qualsiasi altra procedura chirurgica poiché non prevede alcuna lesione del sistema nervoso ed i suoi effetti sono reversibili.

I traumi cranici
Il trauma cranico può provocare emorragie, edema o vasoparalisi, rispettivamente accumulo di sangue e acqua negli spazi endocranici o aumento incontrollato del flusso ematico cerebrale secondario alla perdita del sistema di autocontrollo sul flusso cerebrale denominata “autoregolazione”. Da tutte queste condizioni ne deriva un aumento della pressione endocranica che è espressione di un’aumento di volume di una o di tutte e tre le componenti endocraniche (cervello, sangue e liquido cefalorachidiano, quest’ultimo meglio conosciuto come “liquor” cerebrospinale).

Quando la differenza tra la pressione arteriosa d’ingresso (carotidea e vertebrale) e la pressione endocranica si riduce al di sotto del limite soglia di 55 mm di Hg, il cervello comincia ad andare in ischemia, condizione caratterizzata da una riduzione diffusa e omogenea del flusso ematico cerebrale fino alla gravissima conseguenza irreversibile di arresto totale del flusso (pressione di perfusione =0) nota anche come “tamponamento cerebrale”. Conseguenza di ciò è l’insorgenza del coma, che può presentarsi in cinque gradi di profondità, l’ultimo dei quali profondo o irreversibile, conosciuto anche come “morte cerebrale”, che costituisce la condizione medico-legale per l’espianto di organi.

Una lesione focale come la lacerazione, la contusione o l’ematoma pericefalico (raccolta di sangue tra cranio e cervello) o l’ematoma cerebrale propriamente detto può, senza condurre al coma, essere associata ad un deficit di senso (ipoestesia/anestesia), di moto (paresi/paralisi) del corpo e dal carattere più o meno permanente. Inoltre, a distanza, dalla cicatrice cerebrale che ne deriva, può manifestarsi l’epilessia. Per la riabilitazione del danno, per definizione “irreversibile”, si è parlato di cellule staminali e di ipotesi avveniristiche di trapianto di nervi nel midollo spinale traumatizzato, ma attualmente con scarse prospettive di impiego.

Chirurgia della colonna vertebrale
Il problema fondamentale della patologia della colonna vertebrale risiede nella ristrettezza acquisita del canale (stenosi) ad essa associata e la necessità di effettuare il primo intervento decompressivo storicamente concepito: la laminectomia, ovverossia l’asportazione della parete posteriore (lamine) del canale. Tale intervento ha lo scopo di trasformare la colonna vertebrale da una struttura a forma di “tubo” ad un’altra a forma di “canale”. La discectomia, invece, prevede l’asportazione del disco intervertebrale e trova la sua principale indicazione nel trattamento dell’ernia del disco; questa può essere operata evitando la laminectomia (approccio cosiddetto ‘interlaminare’) quando non associata a stenosi.

Dopo diversi decenni di successo questi interventi, pur nelle loro ormai numerose varianti, oggi si sono progressivamente arricchiti di una nuova filosofia: “bloccare” oltre che “allargare” la colonna lombosacrale in casi selezionati, attraverso la cosiddetta “fusione” e/o “stabilizzazione” della colonna lombare in associazione o meno alla classica laminectomia decompressiva. Con questi due termini si intendono tutti quegli interventi che impiegano protesi discali o viti associate a placche metalliche miranti a fissare la colonna lombosacrale in una posizione, ovviamente stabile, in “virtù” della quale le strutture nervose in essa contenute vedono risolta, o comunque sensibilmente ridotta, la compressione operata dai dischi vertebrali o dall’artrosi delle faccette articolari. Infine, durante il Congresso si parlerà dell’impiego dell’endoscopia nella chirurgia spinale, nella base del cranio e nella giunzione cranio cervicale attraverso il naso e la bocca.

fonte: ufficio stampa

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