Chirurgia dei nervi periferici, occorre maggiore formazione

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Nelle scuole di specializzazione neurochirurgica manca una formazione teorica adeguata sulla chirurgia dei nervi periferici. È il grido di allarme lanciato da Debora Garozzo, neurochirurgo presso l’Ospedale di Rovigo, durante i lavori del Congresso Mondiale in corso a Roma

mela-in-manoRoma, 10 settembre 2015 – “La chirurgia endoscopica nel tunnel carpale sembrerebbe esporre a un maggiore rischio rispetto a quella aperta. Non ci sono evidenze conclusive che portino ad introdurre la chirurgia endoscopica nella chirurgia dei nervi periferici – illustra l’esperta – L’open surgery è pertanto ancora la terapia migliore”.

Secondo Debora Garozzo la chirurgia dei nervi periferici spesso viene gestita da chi non ne ha piena conoscenza. “Nelle nostre scuole di specializzazione non abbiamo una formazione teorica adeguata sulla chirurgia dei nervi periferici e talvolta viene neanche insegnata. Di grande rilievo – sottolinea Debora Garozzo – lo studio di Mariano Socolovsky, presidente del comitato di neurochirurgia dei nervi periferici, che verte sul rapporto tra indice di massa corporea e la possibilità di recupero neurologico. Si tratta di uno studio comparato tra quelli pubblicati dai chirurghi asiatici e quelli occidentali. Dallo studio emerge effettivamente una correlazione tra la massa corporea e le capacità di recupero neurologiche quali ad esempio la funzione di recupero della spalla”.

L’esperta evidenzia inoltre un’interessante ricerca circa le relazioni sulla patologia tumorale. “C’è ancora chi ritiene che per un tumore benigno si debba tagliare un nervo, procurando un deficit funzionale al paziente o effettuare la biopsia che nel 90% dei casi è inconcludente e in più provoca un deficit al paziente”.

La studiosa si sofferma anche sulla cura per i pazienti affetti da neurofibromatosi (malattia genetica che interessa tutto il corpo) che devono essere sottoposti ad un monitoraggio sistematico per prevenire la trasformazione maligna di lesioni pre-esistenti benigne. L’esperta sottolinea che “oggi possiamo asportare una lesione maligna senza necessariamente sacrificare il nervo, per quest’ultimo siamo in grado di asportare la lesione tumorale e prevenire la trasformazione maligna e – conclude – non esiste nessuna evidenza scientifica sull’utilizzo favorevole degli innesti da cadavere nella sperimentazione con gli elettrodi da stimolazione”.

Tra le ultimissime novità, segnala anche l’adroterapia, una terapia complementare alla chirurgia che sembra essere promettente più della radioterapia convenzionale. Quest’ultima particolare forma di radioterapia viene effettuata in pochi centri al mondo, tra cui in Italia, e sembra avere dei risultati migliori rispetto alla radioterapia.

fonte: ufficio stampa

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