Infermieri, Fnopi: “In Italia ne mancano 63.000. Rischi seri per la salute”

Firenze, 12 maggio 2021 – Rispetto alla media europea in Italia mancano all’appello più di 63.000 infermieri. Piante organiche ristrette (e in sofferenza) e paghe più basse: “Sono i meno pagati tra quelli degli Stati maggiormente industrializzati in Europa e in tutto il mondo occidentale”, sottolinea la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), che a Firenze inaugura il congresso itinerante organizzato, da maggio a dicembre, in 20 appuntamenti locali per evitare assembramenti.

In pratica, mentre i Paesi Ue viaggiano a circa 1.000 infermieri ogni 100.000 abitanti, in Italia non si arriva a 600. E stando al centro studi della Fnopi il mancato fabbisogno si fa sentire in tutte le regioni: si va dagli oltre 9.000 professionisti mancanti in Lombardia, ai quasi 7.000 nel Lazio, 6.300 in Campania, 5.700 in Sicilia, 4.800 in Puglia, 4.500 in Veneto, 4.000 in Piemonte e 3.700 in Toscana, tanto per citare le regioni con i numeri più significativi.

Dall’ultimo contratto, prima di quello del 2018, “per ragioni di contenimento economico, si sono susseguiti numerosi blocchi del turnover superati solo dai provvedimenti introdotti dal Dl Crescita nel 2019”, si spiega. Nel 2020, poi, con i provvedimenti e gli interventi in emergenza che si sono susseguiti a causa della pandemia da Covid (in particolare il decreto Rilancio) si è prevista l’integrazione degli organici infermieristici: prima con contratti flessibili, poi, dal 2021, con contratti a tempo indeterminato. Tuttavia, “l’intervento, seppure assolutamente meritorio, è parziale e copre le necessità legate all’emergenza”.

Oltre a questo, si spiega, “uno dei problemi maggiori da affrontare rispetto alla crescita e alle aumentate responsabilità e specializzazioni della professione infermieristica, è sicuramente quello delle retribuzioni. Oggi questa voce è inserita del più vasto contenitore del “personale non dirigente”, anche se a molti infermieri sono affidati ruoli di coordinamento e di responsabilità anche di distretti sanitari. Anche da questo nasce l’esigenza di un’area infermieristica separata, in cui sia possibile riconoscere I diversi livelli di responsabilità e di merito e prevederne un’adeguata, conseguente, retribuzione”.

Sulla carenza infermieri in Italia, si tratta di una “carenza documentata da molto tempo e peraltro che ogni anno peggiora”, spiega all’agenzia Dire Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche. Il gap sul fabbisogno “ha dimostrato i suoi effetti negativi proprio durante la pandemia e ora, con il necessario recupero di un’assistenza di qualità anche verso i pazienti non Covid”, potrebbe “trasformarsi in un serio rischio per la salute”, sottolinea.

I fattori che hanno portato a questa situazione, aggiunge, “sono molteplici”. Come il contenimento della spesa, il blocco del turnover e i “provvedimenti che negli ultimi dieci, quindici anni, hanno contingentato la possibilità di assumere da parte delle aziende”. Aziende che non hanno assunto “perché non si poteva, non perché non ne avessero bisogno”. E questo “in qualche modo ha poi disincentivato i numeri della formazione”.

Un punto, quest’ultimo, su cui Mangiacavalli apre una riflessione: “Mediamente servono quattro, cinque anni per formare un infermiere. È vero che la laurea abilitante è triennale”, tuttavia il percorso degli studi è molto concentrato, così in molti l’allungano di un semestre, osserva. In “moltissimi, poi, procedono con percorsi di formazione ulteriori”. Quindi “è evidente che bisogna partire con anticipo” e “se si fosse tenuto conto delle nostre richieste avremmo circa 14.000 infermieri in più e già in servizio”.

Certo, conclude Mangiacavalli, “quest’anno c’è stato un impulso importante, sono stati previsti quasi 23.000 posti, la totalità delle possibilità. Ed è iniziato un confronto importante con I ministeri dell’Università, della Salute e la Conferenza delle Regioni, affinché si possa andare a strutturare una ridefinizione del fabbisogno formativo, di base e specialistico, che tenga conto dei mutati bisogni di salute dei cittadini”.

(fonte: Agenzia Dire)

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