In Italia aumentano anziani e malati cronici, preoccupanti gli scenari futuri. Rapporto Osservasalute 2018

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Roma, 15 maggio 2019 – Italiani ancora lenti a cambiare abitudini nocive per la salute come fumo, sedentarietà e alimentazioni scorrette, ma nel Bel Paese si muore sempre meno, grazie soprattutto ai miglioramenti nell’assistenza sanitaria e ai traguardi della medicina moderna.
Un dato rilevante per la salute degli italiani è rappresentato dalla forte riduzione della mortalità prematura (indicatore del Sustainable Development, Goals delle Nazioni Unite – calcolato rispetto alle principali cause di morte della fascia di età 30-69 anni) diminuita, dal 2004 al 2016, del 26,5% per gli uomini e del 17,3% per le donne.

In generale, in poco più di 30 anni, il tasso standardizzato di mortalità totale si è ridotto di oltre il 50% nel periodo 1980-2015 ed il contributo delle malattie cardiovascolari è stato quello che più ha influito sul trend in discesa della mortalità (nello stesso periodo la mortalità per malattie ischemiche del cuore si è ridotta di circa il 63% e quella delle malattie cerebrovascolari di circa il 70%).

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Walter Ricciardi e Alessandro Solipaca

Si muore meno di tumori che restano, però, la prima causa di morte tra i 19-64 anni: nell’arco di tempo compreso tra il 2006-2016,diminuisce del 24% per gli uomini (da 12,5 a 9,5 per 10.000) e del 12,6% per le donne (da 8,7 a 7,6 decessi per 10.000).
La mortalità neonatale e infantile è significativamente diminuita nel nostro Paese e ha raggiunto livelli tra i più bassi del mondo, anche migliori di quelli osservati nei Paesi occidentali più sviluppati. Il tasso di mortalità infantile è passato da 3,16 decessi per 1.000 nati vivi a 2,81 per 1.000 nell’arco temporale 2010-2016.

Non a caso l’Italia, con 83,4 anni di vita media attesa alla nascita nel 2016 (ultimo anno disponibile per i confronti internazionali), è da anni uno dei Paesi più longevi nel contesto internazionale, secondo dopo la Spagna (83,5 anni) tra i Paesi dell’Unione Europea (UE). Sempre nel 2016, il nostro Paese si colloca direttamente al primo posto in Europa per la più elevata speranza di vita alla nascita per gli uomini (81,0 anni), secondo gli ultimi dati disponibili da fonte europea Eurostat.

Per le donne, invece, si colloca al terzo posto (con 85,6 anni) dopo Spagna (86,3 anni) e Francia (85,7 anni). L’Italia, rispetto alla media dei Paesi dell’UE, presenta un vantaggio di circa 3 anni per gli uomini (la media dell’UE è pari a 78,2 anni) e 2,0 anni per le donne (la media dell’UE è 83,6 anni).

Sono questi, in estrema sintesi, i dati emersi dalla XVI Edizione del Rapporto Osservasalute, curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che opera nell’ambito di Vihtaly, spin off dell’Università Cattolica presso la sede di Roma, con la Direzione scientifica di Alessandro Solipaca, e la Direzione di Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica.

Il volume (di 639 pagine),è frutto del lavoro di 318 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Istat. Suddiviso in due parti principali – la prima dedicata alla salute e ai bisogni della popolazione, la seconda ai sistemi sanitari regionali nonché alla qualità dei servizi.

Ma gli italiani non accennano a cambiare stili di vita.
Sono circa 10 milioni e 370 mila i fumatori in Italia nel 2017, poco più di 6 milioni e 300 mila uomini e poco più di 4 milioni e 70.000 donne. Si tratta del 19,7% della popolazione di 14 anni e oltre. Il numero di coloro che fumano è rimasto pressoché costante a partire dal 2014.

In Italia, nel 2017, si conferma che più di un terzo della popolazione di età 18 anni ed oltre (35,4%) è in sovrappeso, mentre poco più di una persona su dieci è obesa (10,5%); complessivamente, il 45,9% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale. Questi valori non presentano variazioni significative rispetto al 2016.

In Italia, la quota dei bambini e degli adolescenti in eccesso di peso è pari al 24,2%. L’eccesso di peso raggiunge la prevalenza più elevata tra i bambini di età 6-10 anni risultando pari a 32,9%. Al crescere dell’età, il sovrappeso e l’obesità diminuiscono, fino a raggiungere il valore minimo tra i ragazzi di età 14-17 anni(14,4%).

Dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (Childhood Obesity Surveillance Initiative-COSI) relativi alla raccolta del 2012-2013 avvenuta in 19 Paesi (Albania, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Macedonia, Moldavia, Norvegia, Portogallo, Romania, Repubblica di San Marino, Slovenia, Spagna, Turchia e Italia) con la stessa metodologia, utilizzando i cut-off dell’OMS e con un range di età che oscilla tra i 6-9 anni, l’Italia è risultata tra i Paesi a più alta prevalenza di sovrappeso e obesità nei bambini di età 8-9 anni insieme a Grecia e Spagna, mentre i Paesi del Nord Europa presentano prevalenze più basse.

I dati di lungo periodo evidenziano un aumento della propensione alla pratica sportiva in modo  continuativo (dal 19,1% del 2001 al 24,8% del 2017), tuttavia i sedentari sono ancora molti, oltre 22,4 milioni, pari al 38,1% della popolazione.

Il volto dell’Italia è vecchio e con malattie croniche che gravano sui bilanci del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
L’Italia è sempre più vecchia (nel 2017, gli ultra 65enni sono oltre 13,5 milioni, il 22,3% della popolazione totale) e gravata da malattie croniche la cui gestione, infatti, incide per circa l’80% dei costi sanitari.
Nel 2017, il costo medio annuo grezzo della popolazione in carico ai Medici di Medicina Generale(MMG) del network HealthSearch, affetta da almeno una patologia cronica è stato di 708 €.

Sono presenti differenze di genere nei costi generati per il SSN; infatti, i pazienti uomini affetti da almeno una patologia cronica hanno generato un costo medio annuo superiore a quello delle donne (738€ vs 685€).
I costi medi annui sostenuti dal SSN per i pazienti cronici aumentano progressivamente al crescere dell’età, raggiungendo il picco nelle fasce di età 80-84 anni (1.129€) e 75-79 anni (1.115€), per poi calare leggermente nelle classi di età successive.

Dal lato dell’assistenza primaria, i dati raccolti dai MMG riferiscono che mediamente in un anno si spendono 1.500€ per un paziente con uno scompenso cardiaco congestizio, in ragione del fatto che questi pazienti assorbono il 5,6% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 4% delle richieste di visite specialistiche e il 4,1% per le prescrizioni di accertamenti diagnostici. Circa 1.400€ annui li assorbe un paziente affetto da malattie ischemiche del cuore, il quale è destinatario del 16% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, del 10,6% delle richieste di visite specialistiche e del 10,1% degli accertamenti diagnostici.

Quasi 1.300€ vengono spesi per un paziente affetto da diabete tipo 2, il quale assorbe il 24,7% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 18,5% delle richieste di visite specialistiche e il 18,2% degli accertamenti diagnostici.
Un paziente affetto da osteoporosi costa circa 900€ annui, poiché è destinatario del 40,7% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, del 35,0% delle richieste di visite specialistiche e del 32,0% degli accertamenti diagnostici.

Costa, invece, 864€ un paziente con ipertensione arteriosa che assorbe mediamente in un anno il 68,2% di tutte le prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 52,2% delle richieste di visite specialistiche e il 51,7% degli accertamenti diagnostici.

L’Italia non è un Paese per vecchi.
Siamo longevi ma non invecchiamo in salute e manca l’assistenza dedicata (domiciliare e nelle strutture di degenza di lungo periodo). Per la speranza di vita della popolazione anziana, l’Italia, nel 2016, occupa il terzo posto in graduatoria per uomini: la speranza di vita a 65 anni è pari a 19,4 anni (simile alla Spagna) a fronte del dato medio europeo di 18,2 anni. Al secondo posto troviamo la Francia con 19,6 anni e al primo posto Malta con 19,7 anni. Anche per le donne la vita attesa a 65 anni in Italia supera di oltre 1 anno la media dell’UE (22,9 anni vs 21,6 anni) posizionandosi al terzo posto dopo Francia (23,7 anni) e Spagna (23,6 anni).

Tuttavia gli anziani italiani trascorrono più tempo dei coetanei europei in cattiva salute: infatti, l’Italia, pur essendo il primo Paese per longevità degli uomini, scende in graduatoria al terzo posto per speranza di vita alla nascita in buona salute, pur mantenendo un vantaggio di circa 4 anni rispetto alla media europea, dopo Svezia e Malta (rispettivamente, 73,0 e 71,1 anni).

Anche per le donne l’Italia scende in graduatoria, passando dal terzo posto per la speranza di vita al settimo quando si considerano gli anni di vita ancora da vivere in modo autonomo, senza limitazioni nelle attività dovute a problemi di salute, con un differenziale positivo di 3,0 anni rispetto alla media dei Paesi dell’UE.

Oltre alle malattie croniche, tra le problematiche di salute che condizionano la vita di un anziano vediamo i disturbi depressivi. Depressione per quasi 1 anziano su 5: disturbi depressivi per il 19,5% degli ultra 75enni. Differenze di genere a svantaggio delle donne, tra le over 75 anni quasi una donna su quattro soffre di sintomi depressivi (23,0%) a fronte del 14,2% tra gli uomini.

Carente l’assistenza dedicata agli anziani: infatti, in Italia, nonostante l’elevata percentuale di ultra 80enni, è ancora troppo bassa la quota della spesa sanitaria complessiva allocata da tutto il sistema sanitario all’assistenza sanitaria a lungo termine (10,1%) se confrontata con quella di Paesi con simile livello di invecchiamento (14,8% in Francia e 16,5% in Germania). Risulta, quindi, prioritario per il nostro SSN orientarsi alle necessità della popolazione che invecchia, potenziando l’assistenza a lungo termine e l’assistenza domiciliare, con maggiori e rinnovate risorse economiche ed umane (soprattutto infermieri e personale specializzato nell’assistenza domiciliare).

Preoccupano gli scenari futuri: aumentano gli anziani, aumentano i bisogni assistenziali del Paese e la spesa che sarà necessaria a soddisfarli.
Nel 2017, gli ultra 65enni sono oltre 13,5 milioni, il 22,3% della popolazione totale. Le proiezioni dell’Istituto Nazionale di Statistica mostrano che questa fascia di popolazione, nel 2028, ammonterà al 26,0%, pari a poco più di 15,6 milioni di abitanti, mentre nel 2038 saranno oltre 18,6 milioni, il 31,1% degli italiani.

Le proiezioni della cronicità indicano che tra meno di 10 anni, nel 2028, il numero di malati cronici salirà a oltre 25 milioni (oggi sono quasi 24 milioni), mentre i multi-cronici saranno circa 14 milioni (oggi sono oltre 12,5 milioni).

La patologia cronica più frequente sarà l’ipertensione, con quasi 12 milioni di persone affette nel 2028, mentre l’artrosi/artrite interesserà quasi 11 milioni di italiani; per entrambe le patologie ci si attende oltre 1 milione di malati in più rispetto al 2017. Tra 10 anni le persone affette da osteoporosi, invece, saranno circa 5,3 milioni, oltre 500 mila in più rispetto al 2017. Inoltre, gli italiani affetti da diabete saranno oltre 3,6 milioni, mentre i malati di cuore circa 2,7 milioni.

Quanto alle diverse fasce della popolazione, nel 2028, tra la popolazione della classe di età 45-74 anni, gli ipertesi saranno 7 milioni, quelli affetti da artrosi/artrite 6 milioni, i malati di osteoporosi 2,6 milioni, i malati di diabete circa 2 milioni e i malati di cuore più di 1 milione. Inoltre, tra gli italiani ultra 75enni 4 milioni saranno affetti da ipertensione o artrosi/artrite, 2,5 milioni da osteoporosi, 1,5 milioni da diabete e 1,3 milioni da patologie cardiache.

L’aumento sensibile delle persone con problemi di salute avrà sicuramente un impatto sulla domanda di cura e assistenza, sia di natura strettamente sanitaria che socio-sanitaria. I dati a disposizione permettono di proiettare la domanda di visite specialistiche, di giornate di degenza e di assistenza domiciliare. In particolare, nel 2016 il numero di contatti mensili con un medico specialista sono stati oltre 13 milioni, nel 2038 supereranno i 14 milioni. Le notti passate in ospedale, nel 2016, sono state oltre 41 milioni, nel 2038 supereranno i 47 milioni. Le persone che hanno fatto ricorso all’assistenza domiciliare, nel 2016, sono state oltre 1,8 milioni, nel 2038 supereranno i 2,2 milioni, mentre nello stesso anno saranno oltre 1,4 milioni quelli che domanderanno assistenza domiciliare di tipo sanitaria, contro gli oltre 1,2 milioni del 2016.

L’aumento della domanda di cure e assistenza avrà conseguenze sulla spesa sanitaria. Attualmente nel nostro Paese si stima che si spendono, complessivamente, circa 66,7 miliardi di € per la cronicità; stando alle proiezioni effettuate sulla base degli scenari demografici futuri e ipotizzando una prevalenza stabile nelle diverse classi di età, nel 2028 spenderemo 70,7 miliardi di €.

In generale, le proiezioni della Ragioneria Generale dello Stato prevedono che il rapporto tra spesa sanitaria pubblica e il Prodotto Interno Lordo dovrebbe crescere dal 6,6% del 2017 al 6,8% nel 2030, fino ad arrivare al 7,3% del 2040. In altre parole, dovremmo passare dagli attuali 114 miliardi a 139 miliardi nel 2030 e 168 miliardi di € nel 2040.

“Lo scenario che si prospetta – sottolinea il dott. Solipaca – evidenzia che la sfida che il SSN dovrà affrontare è quella legata alle crescenti fragilità degli anziani, la spesa da sostenere per questo gruppo di popolazione non potrà gravare tutta sul settore sanitario, perché si tratta di prestazioni con una forte connotazione socio-assistenziale”.

“Di fronte al quadro futuro, per il SSN è necessario intensificare gli sforzi per promuovere la prevenzione e un cambio di paradigma rispetto all’organizzazione dei servizi di cura, definendo nuovi percorsi assistenziali in grado di prendere in carico il paziente nel lungo termine, prevenire e contenere la disabilità, garantire la continuità assistenziale e l’integrazione degli interventi socio-sanitari” commenta il prof. Ricciardi.

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