Il dente di rinoceronte che svela i misteri dell’evoluzione. Punto di svolta nella paleontologia molecolare

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Luca Pandolfi e Lorenzo Rook con il cranio del rinoceronte di Dmanisi

Firenze, 12 settembre 2019 – Una rivoluzione negli studi evoluzionistici. È quella iniziata con l’estrazione di proteine fossili da un dente di rinoceronte risalente a 1,77 milioni di anni fa: le informazioni genetiche più antiche, e più ampie, sino ad oggi mai recuperate, essendo un milione di anni più remote del più antico DNA sequenziato sino ad oggi.

Ne dà conto una ricerca internazionale pubblicata su Nature – di cui fa parte anche il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze – che segna un punto di svolta nel campo degli studi della paleontologia molecolare. [“Early Pleistocene enamel proteome sequences from Dmanisi resolve Stephanorhinus phylogeny” doi: 10.1038/s41586-019-1555-y].

Lo studio, coordinato da Enrico Cappellini dell’Università di Copenhagen, si è basato sull’analisi di resti fossili, in particolare lo smalto dentario, di un rinoceronte estinto (Stephanorhinus), vissuto in Eurasia durante il Pleistocene, proveniente dal sito di Dmanisi, in Georgia. Nel sito caucasico è attivo un gruppo di ricerca internazionale che include docenti dell’Ateneo fiorentino, fra cui Lorenzo Rook, che coordina gli studi sui mammiferi fossili (con il sostegno del nostro Ministero degli Affari Esteri).

Lo smalto dentario è il tessuto più resistente nello scheletro dei mammiferi, e permette una maggiore conservazione del materiale organico rispetto alle ossa. Nello studio i ricercatori dimostrano che il set di proteine fossili conservate nello smalto si mantiene molto più a lungo del DNA (limitato agli ultimi 700.000 anni), ed è geneticamente più informativo del collagene, l’unica altra proteina sino ad oggi estratta da fossili più antichi di un milione di anni.

“Il caso di studio con cui viene presentato il metodo delle proteine fossili, che si affianca e va ancora più a ritroso dello studio del DNA antico – spiega Lorenzo Rook, docente di Paleontologia e Paleoecologia presso l’Ateneo fiorentino – ci consente di avere un quadro più chiaro sulla storia evolutiva di uno dei mammiferi oggi a più alto rischio di estinzione (il rinoceronte) grazie al rigoroso controllo molecolare delle ipotesi che ricostruiscono i rapporti di parentela e le linee di discendenza, usando biomolecole diverse dal DNA”.

“Prerequisito essenziale per le analisi e il sequenziamento delle proteine fossili grazie alla spettrometria di massa è l’accurata determinazione della specie fossile campionata. Per questo il ruolo del paleontologo risulta cruciale per garantire un base solida alle analisi genetiche” afferma Luca Pandolfi, paleontologo dell’Università di Firenze, che ha effettuato lo studio anatomico e morfologico dei rinoceronti di Dmanisi, sito paleontologico assai famoso perché documenta anche la più antica presenza umana al di fuori del continente africano.

“Le potenzialità del metodo di ricerca che si basa sulle proteine fossili sono enormi – conclude Lorenzo Rook – dal momento che potrà essere applicato allo studio di molte altre specie animali, incluso le forme umane fossili, e quindi in potenza contribuire anche allo studio della nostra storia evolutiva”.

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