Uno studio dell’Università Statale di Milano identifica una famiglia di proteine che aiuta la riparazione del DNA senza accumulare alterazioni cromosomiche, prevenendo morte cellulare e instabilità genomica
Milano, 16 marzo 2018 – L’esposizione ai raggi solari e ad alcuni agenti chimico-fisici, ad esempio diversi chemioterapici, danneggia il nostro DNA distorcendo la doppia elica. Le cellule reagiscono cercando di rimuovere la lesione nel modo più rapido ed efficiente, per evitare di andare incontro a un’instabilità del genoma.
Da tempo si è osservato che in seguito a queste esposizioni le cellule accumulano rotture del DNA che causano alterazioni della struttura dei cromosomi e possono portare allo sviluppo di tumori oppure a morte cellulare, ma l’origine di tali rotture restava ad oggi sconosciuta.
Il gruppo di Sarah Sertic e Marco Muzi Falconi dell’Università Statale di Milano, grazie al sostegno di AIRC, ha studiato i meccanismi molecolari della riparazione dei cromosomi e ha identificato come le cellule rispondono a un tipo di danni al DNA molto pericoloso, chiamato in inglese “closely opposing lesions” (COLs).
Queste lesioni non sono riparabili in modo rapido ed efficiente dai normali meccanismi di riparazione del DNA e vengono aggredite da una proteina specifica, EXO1, che comincia a degradare il cromosoma. Questa attività di degradazione ha un aspetto positivo: allerta la cellula del problema e avvia la riparazione delle COLs. Di contro, se EXO1 viene lasciata agire in modo indisturbato degrada il DNA in maniera incontrollata, portando alla rottura dei cromosomi.
L’articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Molecular Cell identifica una famiglia di proteine, le DNA polimerasi translesione, che, limitando l’attività di EXO1, fanno sì che le cellule riescano a riparare le COLs senza accumulare rotture cromosomiche, prevenendo così la morte cellulare e l’instabilità genomica.
“Questi risultati indicano che lo sviluppo di composti che interferiscono con il meccanismo identificato dallo studio potrebbe essere rilevante nella cura dei tumori. L’utilizzo di tali sostanze in combinazione con approcci terapeutici classici permetterebbe di sviluppare terapie antitumorali più efficaci” commenta Marco Muzi Falconi, biologo molecolare dell’Università Statale di Milano.