Emofilia, il paziente coinvolto si cura meglio. Al via progetto di ricerca dell’Università Cattolica

Milano, 2 aprile 2020 – Mai come in questo periodo è attuale il coinvolgimento del paziente nel processo della cura. L’emergenza sanitaria collegata al diffondersi del virus Covid-19 e le recenti decisioni che pongono un limite all’affluenza negli ambulatori specialistici, sta influenzando la gestione dei pazienti: più il paziente riesce ad essere “engaged” e più si sente responsabile nella gestione della propria patologia e della terapia.

Migliorare l’esito delle cure per l’emofilia grazie al coinvolgimento dei pazienti, in team con i medici che se ne prendono cura: è questo il cuore di un nuovo progetto di ricerca dal nome “Parole in Emofilia: verso il Patient Engagement”, che sarà condotto presso il Centro di ricerca dell’Università Cattolica nel campus di Milano “EngageMinds HUB”.

EngageMinds HUB è il primo Centro di Ricerca italiano multidisciplinare volto a promuovere e svolgere attività scientifiche – ispirate dai principi della psicologia dei consumi – relative al tema dell’engagement nelle condotte di salute (es. prevenzione primaria e secondaria, promozione della salute, gestione della cura).

Il progetto sarà condotto sotto la supervisione scientifica della professoressa Guendalina Graffigna, direttore del Centro di ricerca EngageMinds HUB. Il progetto si avvale di una cabina di regia multidisciplinare di esperti in emofilia composta dalla dott.ssa Biasoli (membro del Direttivo AICE e Responsabile del Centro Emofilia Clinica Ospedale M. Bufalini), da Andrea Buzzi (Presidente della Fondazione Paracelso) e da Cristina Cassone (Presidente di FedEmo – Federazione delle Associazioni Emofilici).

“Il progetto è unico a livello internazionale perché si pone l’obiettivo di dare voce all’esperienza di malattia e di cura dei pazienti emofilici e di comprendere le condizioni che ne favoriscono la motivazione ad aderire alla terapia oltre che ne sostengono il coinvolgimento attivo (engagement) nel processo di cura”, spiega la prof.ssa Graffigna, Responsabile Scientifico dello studio.

“I risultati della nostra ricerca non solo contribuiranno al miglioramento dell’esperienza di engagement dei pazienti, ma anche a sensibilizzare i clinici circa il vissuto di malattia dei loro pazienti ed offriranno spunti e strumenti concreti per migliorare le strategie di comunicazione medico-paziente”, dichiara Serena Barello, ricercatore di EngageMinds HUB e leader del progetto.

“Il coinvolgimento attivo del paziente – dichiara la dott.ssa Manuela Scarpellini, Medical Affairs Director Italy, EMEA, Russia &CIS di Kedrion – è essenziale per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici. Per questo, Kedrion è orgogliosa di sostenere EngageMinds Hub in questo innovativo progetto, che permetterà all’Università Cattolica nel campus di Milano di raccogliere e di elaborare con strumenti scientifici il vissuto ed il percepito di paziente e medico, allo scopo di facilitare il reciproco dialogo”.

“Questo progetto offre l’opportunità di indagare, attraverso la narrazione, gli aspetti più significativi e le eventuali problematiche di un rapporto tanto profondo e particolare come quello che si instaura tra un paziente emofilico e il proprio ematologo. Partendo da questa base, si può mirare a una migliore interazione tra le parti, al fine di rendere quanto più solida ed efficace possibile l’alleanza medico-paziente così rilevante in Emofilia”, dichiara Cristina Cassone, Presidente di FedEmo – Federazione delle Associazioni Emofilici

“Questo progetto è di massima importanza perché ci si propone di dare voce ai vissuti e all’esperienza degli ematologi impegnati nella cura del paziente con emofilia. Un fondamentale percorso di integrazione per garantire l’umanizzazione delle cure”, afferma la dott.ssa Biasoli, membro del Direttivo AICE e Responsabile del Centro Emofilia Clinica Ospedale M. Bufalini

La malattia
Circa una persona su mille, nel mondo, soffre di un qualche disturbo emorragico (caratterizzato da sanguinamenti anomali che possono essere il risultato di difetti del sistema di coagulazione del sangue), molti non vengono trattati adeguatamente o non sono trattati affatto per questo problema che può avere gravi conseguenze di salute.

L’emofilia (il disturbo della coagulazione ereditario più diffuso) è una malattia rara di origine genetica che colpisce quasi esclusivamente i maschi. Solo in Italia – secondo dati della Federazione Mondiale Emofilia (World Federation of Hemophilia – WFH) – ne soffrono oltre 5.000 persone, mentre in Europa sono oltre 40.000 le persone affette da emofilia A e B (Report on the Annual Global Survey, October 2019, WFH).

Se in un individuo sano la fuoriuscita di sangue si arresta rapidamente, chi è colpito da emofilia è soggetto a numerose emorragie in quanto è difettoso il processo di coagulazione del sangue, che comporta l’attivazione di numerose proteine del plasma in una sorta di reazione a catena. Due di queste proteine, prodotte nel fegato, il fattore VIII e il fattore IX, sono carenti o presentano un difetto funzionale nelle persone con emofilia.

A causa di questo deficit gli emofilici sono facilmente soggetti ad emorragie esterne ed interne, più o meno gravi. Vi sono due i tipi di emofilia, A e B: la prima è la più comune ed è dovuta a una carenza del fattore VIII della coagulazione; si registra in 1 caso ogni 10.000 maschi; la “B”, spesso definita malattia di Christmas, è provocata dalla carenza del fattore IX della coagulazione. L’incidenza è di 1 caso ogni 30.000 maschi.

L’emofilia A e l’emofilia B hanno sintomi praticamente identici e solo tramite gli esami di laboratorio, o conoscendo la storia familiare, il medico può differenziare questi due tipi di patologia. In entrambi i casi, la gravità della malattia viene determinata in base all’entità della carenza funzionale del fattore coagulante.

Si parla di emofilia grave quando la percentuale di attività del fattore coagulante è inferiore all’1%, emofilia moderata quando la percentuale di attività è compresa tra 1 e 5%, emofilia lieve quando la percentuale di attività è compresa tra 5 e 40%.

Per diagnosticare l’emofilia, il primo passo è costituito dall’analisi del sangue: viene così misurato un parametro, il tempo di tromboplastina parziale (PTT) che risulta più lungo del normale.

La conferma e la tipizzazione dell’emofilia (se di tipo A o B, se grave, moderata o lieve) vengono poi valutate in base al dosaggio delle proteine plasmatiche carenti (il fattore VIII o il fattore IX), metodica ora abbastanza diffusa nei laboratori di molti ospedali del territorio nazionale.

Come per altre malattie croniche, anche nel caso dell’emofilia, l’engagement del paziente è fondamentale: il malato, infatti, deve essere responsabilizzato ed aiutato a divenire un buon collaboratore del team di cura (tecnicamente “engaged”), e sensibilizzato rispetto ai propri diritti e doveri per il raggiungimento con successo degli obiettivi posti dal suo percorso sanitario.

In altri termini l’Engagement è quel fattore motivazionale e psicologico che garantisce alla persona la possibilità di partecipare in modo adeguato e funzionale al proprio percorso sanitario, nella piena collaborazione con i curanti. Diversi studi a livello internazionale hanno dimostrato, infatti, che ad alti livelli di engagement corrispondono alti livelli di aderenza terapeutica, migliori outcome clinici e migliore soddisfazione per la relazione di cura.

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