Disabilità, in Italia pochi i servizi e le forme di assistenza. L’onere ricade sulle famiglie

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In occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, che si celebra domenica 3 dicembre, il punto degli esperti dell’Osservatorio Nazionale della Salute nelle  Regioni Italiane, che ha sede presso l’Università Cattolica di Roma. Sono circa 4 milioni e mezzo le persone con disabilità nel nostro Paese. Sostanzialmente inattuate la Convenzione ONU recepita dal nostro Paese nel 2009 e la legge 104 del 1992. Oltre un terzo delle persone disabili vive da solo , quindi con maggiore rischio di vulnerabilità. Inoltre, le persone con disabilità hanno un livello di istruzione mediamente più basso e accedono di meno al lavoro rispetto alla popolazione generale, penalizzate soprattutto le donne. Troppo basso rispetto ad altri Paesi UE la quota di Pil destinata a politiche per la disabilità. Finanziamenti sbilanciati sul fronte pensionistico, scarsi i servizi per le persone disabili e i loro familiari

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Roma, 1 dicembre 2017 – Spesso sole e in condizioni di vulnerabilità, con titoli di studio bassi, inoccupate molto di più rispetto alla popolazione generale (penalizzate soprattutto le donne), mentre i servizi loro dedicati sono scarsi e troppo pochi i finanziamenti assegnati e con le famiglie – sempre più in difficoltà – a supplire rispetto alle mancanze delle istituzioni nazionali e locali.

È questo in sintesi il quadro, non proprio consolante, delle persone con disabilità che emerge nel nostro Paese alla vigilia della Giornata internazionale delle persone con disabilità, promossa dalla Commissione Europea in accordo con le Nazione Unite che si celebra domenica 3 dicembre, tracciato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane che ha sede presso la sede di Roma dell’Università Cattolica.

Per l’occasione l’Osservatorio ha elaborato un focus sulla situazione attuale riguardo al tema dei diritti e dell’inclusione sociale delle persone disabili, di cui viene anticipata una sintesi.

“La disabilità è una condizione che interessa molti italiani e la sfida che il nostro Sistema di welfare dovrà affrontare è quella di riuscire ad assicurare a queste persone l’assistenza sanitaria e sociale, il diritto a vivere una vita indipendente e, più in generale, di essere inclusi nella società con tutte le opportunità (istruzione, lavoro, partecipazione sociale e politica) di cui godono gli altri cittadini”, afferma il dott. Alessandro Solipaca, responsabile Scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane diretto dal prof. Walter Ricciardi.

Per tali finalità, le politiche dovranno fronteggiare diversi ordini di problemi, tra loro molto correlati, che vanno dalla sostenibilità economica del Welfare state alla capacità di risposta a diritti inalienabili, riconosciuti anche dal nostro Paese con la ratifica della Convenzione Onu (legge n.18 del 3 marzo 2009) sui diritti delle persone con disabilità.

Le stime sulla prevalenza nella popolazione della disabilità segnalano che questa condizione interessa circa 4 milioni e 360 mila persone, la maggior parte delle quali ha una età superiore a 65 anni e vive nelle regioni del Mezzogiorno.

Il bisogno di aiuto di cui necessitano emerge già dal fatto che oltre un terzo di queste persone vive da solo, tra gli ultrasessantacinquenni la quota sale al 42,4%. Si tratta di dati molto preoccupanti poiché palesano una diffusa condizione di vulnerabilità che coinvolge un numero elevato di persone, le quali non possono contare sull’aiuto di un familiare. Basti pensare che tra gli ultra settantacinquenni una persona su cinque ha gravi difficoltà in almeno un’attività quotidiana (ADL) e solo un anziano su dieci è autonomo nella cura personale.

In generale e in una ottica di inclusione sociale, particolare importanza rivestono il diritto all’istruzione e al lavoro. I dati raccolti evidenziano che il livello di istruzione  per questo gruppo di popolazione è mediamente basso, nella classe di età 45-64 anni la percentuale di persone che hanno al più la licenza media si attesta a circa il 70%, senza significative differenze di genere. Questi numeri testimoniano il forte divario che c’è tra le persone con disabilità e il resto della popolazione, dove la quota di persone con titolo di studio basso nella classe di età 45-64 anni è di circa il 50%.

Un altro diritto in parte disatteso è quello al lavoro, nella classe di età 45-64 anni la percentuale di persone in condizione di disabilità occupata è il 18%, nel resto della popolazione 58,7%, con rilevanti differenze di genere. Infatti, risulta occupato il 23% degli uomini con disabilità e solo il 14% delle donne.

Analizzando le risorse che il nostro Paese impegna, nell’ambito del Sistema di protezione sociale, per la funzione di spesa destinata alla disabilità, si può osservare che, nel 2015, sono stati spesi 27,7 miliardi di euro, il 5,8% del totale della spesa per la protezione sociale, pari all’1,7% del Pil.

L’impegno economico per questa funzione in Europa è fissato a circa il 7,3% della spesa per la protezione sociale, pari a circa il 2% del Pil dei Paesi UE28. La spesa pro-capite, a parità di potere d’acquisto, nel nostro Paese è di 461 euro annui, che ci colloca a metà della graduatoria dei Paesi UE28, dopo quelli del Nord-Europa.

In Italia, la maggior parte dei trasferimenti economici del sistema di protezione sociale è erogato sotto forma di pensioni, in particolare vengono spesi 65 miliardi per le prestazioni pensionistiche legate alla presenza di una disabilità. Ne beneficiano 1 milione e 883 mila persone nelle regioni del Mezzogiorno, 1 milione 559 mila in quelle del Nord e 918 mila nelle regioni del Centro, dati che testimoniano la maggiore prevalenza della disabilità nelle regioni del Mezzogiorno.

Il modello di welfare italiano si è appoggiato tradizionalmente sulle famiglie, le quali hanno svolto un ruolo di sussidiarietà all’intervento dello Stato, quest’ultimo sempre più limitato dai vincoli di finanza pubblica. Tuttavia, in futuro questo modello potrebbe andare in crisi, vista la dinamica socio-demografica che si è andata sviluppando nel corso degli anni, a causa della quale si prevede che le strutture familiari saranno composte da uno o due componenti e da molti anziani soli. Tale processo causerà il dissolvimento strutturale della rete di assistenza di natura informale, tipica della realtà italiana.

Il quadro che emerge da questa breve descrizione mette in luce numerose criticità, a fronte di una normativa nazionale che ha posto come principale obiettivo delle politiche sociali quello dell’inclusione sociale delle persone con disabilità, di cui la legge 104 del 1992 ne costituisce il principale esempio, così come l’impegno preso dal nostro Paese con la ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

Dagli esiti appena documentati, possiamo affermare che l’inclusione sociale di queste persone è ancora lontana. I diritti sanciti nell’articolato della Convenzione Onu, in particolare quelli alla salute, allo studio, all’inserimento lavorativo, all’accessibilità, non sono ancora perfezionati. La causa di questo è la mancata attuazioni delle normative, dovuta probabilmente alla lentezze delle amministrazioni nel loro recepimento e alla scarsità di risorse finanziarie a disposizione dei governi locali competenti in materia sociale.

Una delle conseguenze di quanto detto è che nel nostro Paese il principale strumento di supporto alle persone con disabilità e alle loro famiglie è rappresentato dal sistema dei trasferimenti monetari, sia di tipo pensionistico sia assistenziale. Permane quindi la carenza di servizi e assistenza formale da parte del sistema sociale, questa scelta allocativa ricade inevitabilmente sulle famiglie che continuano a svolgere e a farsi carico della maggior parte delle attività di cura e di aiuto ai loro componenti in condizione di disabilità.

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