Chirurgia: innovazione e organizzazione per un’assistenza migliore e sostenibile

Nel corso del Convegno “Slow Surgery 2.0. Qualità e sostenibilità in chirurgia” un confronto sui temi della qualità, efficienza e sostenibilità nel mondo sanitario e chirurgico in particolare. Al centro del dibattito la riorganizzazione del sistema ospedaliero, il ruolo dell’HTA come strumento di valutazione e programmazione sanitaria e la gestione delle gare regionali e nazionali

medici-chirurghi-corsiaRoma, 2 dicembre 2016 – Oggi la chirurgia equivale ad “alta tecnologia”, sempre più richiesta perché corrisponde a qualità e sicurezza, requisiti indispensabili per la tutela del paziente. La garanzia di accesso di questi ultimi alle migliori cure disponibili è, tuttavia, una sfida, in cui l’elemento cruciale è rappresentato dalla necessità di contenimento della spesa sanitaria.

È, quindi, necessario che i soggetti coinvolti nei processi decisionali siano messi nella condizione di conoscere le potenzialità dell’innovazione nelle sale operatorie, per poterne valutare i benefici e stabilire il rapporto costo-efficacia. Per questo motivo, è sempre più importante poter orientare l’adozione delle innovazioni, sviluppando sistemi di valutazione dell’appropriatezza, che possano garantire scelte strategiche e operative appropriate per il futuro.

Al complesso e quanto mai attuale rapporto tra innovazione e sostenibilità e a quali saranno le leve strategiche per far coesistere questi due aspetti nel mondo sanitario e chirurgico in particolare, è dedicato l’incontro dal titolo “Slow Surgery 2.0. Qualità e sostenibilità in chirurgia”, in corso a Roma, durante il quale si sono confrontati chirurghi, manager sanitari, rappresentanti istituzionali, associazioni pazienti ed economisti.

“L’incremento della specializzazione e della complessità tecnica impone un’alta qualificazione da parte dei singoli professionisti e delle proprie equipe – ha dichiarato il prof. Diego Piazza, Presidente ACOI, Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani – Tuttavia, l’erogazione dei servizi per un bacino di popolazione ristretto, non sempre consente lo sviluppo delle capacità professionali, in quanto agli specialisti non viene assicurato un flusso di pazienti adeguato. Partendo da questa considerazione – continua Piazza – sarebbe opportuno, al fine di una razionalizzazione del sistema e di un miglioramento della qualità delle prestazioni, sostenere il cosiddetto modello hub e spoke, che parte dal presupposto che in determinate situazioni e complessità siano necessarie competenze che devono essere concentrate in Centri ad alta specializzazione presso i quali vengono inviati i pazienti dagli ospedali del territorio. Il modello prevede, pertanto, la concentrazione dell’assistenza di maggior complessità in centri d’eccellenza e l’organizzazione dell’invio a questi hub da parte dei centri periferici dei pazienti che superano la soglia di complessità degli interventi effettuabili a livello periferico”.

Naturalmente per ognuno dei centri d’eccellenza sarà necessario individuare bacini di popolazione di riferimento, processi e percorsi assistenziali, caratteristiche funzionali, strutturali ed organizzative dei nodi della rete.

“Un altro elemento da tenere in considerazione è quello che le nuove tecnologie debbano essere introdotte a seguito di un’accurata valutazione e misurazione della qualità che possono portare, producendo realmente un migliore outcome in sanità – afferma il prof. Marco Montorsi, Presidente SIC – Società Italiana di Chirurgia – Alla luce di tutto questo assumono particolare valore gli strumenti di analisi come l’HTA – Health Technology Assessment, nato per fornire una risposta operativa al divario tra le risorse limitate del Sistema Sanitario, la crescente domanda di salute e l’innovazione tecnologica, prendendo in considerazione gli aspetti clinici, economici, organizzativi, etici, sociali relativi all’introduzione di una nuova tecnologia”.

“L’HTA – continua Montorsi – deve essere basato su un approccio multidisciplinare e multidimensionale dell’innovazione stessa. Questo significa che debbano essere presi in considerazione tutti gli aspetti e coinvolti tutti gli attori: le istituzioni che governano la spesa, ma anche gli specialisti e le associazioni dei pazienti”.

“Quando si parla di qualità, in particolare in sanità e chirurgia, diventa fondamentale poterla misurare, pena l’inefficacia delle nostre azioni. A tal proposito, oltre a ciò che le singole aziende o cluster regionali stanno facendo al loro interno – conclude Montorsi – un primo passo è stato compiuto dallo stesso Ministero della Salute, che ha deciso di iniziare a rilevare alcuni indicatori di performance di alcune Aziende ospedaliere del nostro Paese, attraverso un sistema denominato Piano Nazionale Esiti, gestito da AGENAS – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, che ha già portato alla pubblicazione di una serie di report”.

Quello a cui si sta assistendo negli ultimi tempi, per quanto riguarda l’acquisto di beni e servizi nelle aziende sanitarie è una progressiva diffusione, ai fini del contenimento della spesa, di modelli di centralizzazione, mediante forme di aggregazione sia a livello nazionale che regionale.

“Ma se ottenere economie di scala per la riduzione di costi unitari può essere relativamente semplice – aggiunge Piazza – individuare beni e servizi con il migliore rapporto costo/beneficio è più complesso, perché richiede un lungo lavoro di analisi e coinvolgimento fra tutti gli operatori che operano nel sistema, dove il ruolo del chirurgo, soprattutto per quanto riguarda l’acquisto di medical device, è determinante. “Evidentemente – conclude Piazza – questo è molto più facile in un sistema centralizzato, dove dovrebbero esserci chirurghi ‘specializzati’ nella gestione di gare che abbiano competenze specifiche nella valutazione dei dispositivi inseriti nelle stesse”.

fonte: ufficio stampa

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