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Il Journal of Clinical Oncology pubblica la posizione di un gruppo di super esperti sulla necessità di modulare meglio le terapie farmacologiche per il tumore del seno
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Milano, 23 aprile 2024 – È stata recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista della Società Americana di Oncologia Clinica – il Journal of Clinical Oncology – la posizione di alcuni dei maggiori esperti oncologi internazionali circa la necessità di modulare meglio le terapie farmacologiche per il tumore del seno. Il tema è l’ottimizzazione dei trattamenti oncologici nelle pazienti con carcinoma mammario che, dopo terapia preoperatoria, ottengono una “risposta patologica completa”, vale a dire la scomparsa totale del tumore dal tessuto mammario e i linfonodi.
Si tratta di un lavoro corale, guidato dal prof. Giuseppe Curigliano, Direttore della Divisione Sviluppo Nuovi Farmaci per Terapie Innovative dell’Istituto Europeo di Oncologia, che ha coinvolto i dottori Carmine Valenza e Dario Trapani, entrambi della Divisione Nuovi Farmaci, e tre opinion leaders globali in oncologia mammaria dell’Università di Harvard, Francoforte e Vancouver: Harold Burstein, Stephen Chia e Sibylle Loibl.
“Le pazienti con carcinoma mammario iniziale di sottotipo “triplo-negativo” o “HER2-positivo”, vengono di solito trattate con chemioterapia preoperatoria o “neoadiuvante”, potenziata con l’aggiunta di immunoterapia o di farmaci a bersaglio anti-HER2. In oltre la metà dei casi, dopo la chirurgia, il patologo documenta “risposta patologica completa” (pCR), che corrisponde nella maggioranza dei casi a più probabilità di guarigione, per cui la paziente riceve la stessa terapia medica della fase neoadiuvante, ma de-intensificata. Nei casi restanti invece si osserva malattia residua, quindi si tende a cambiare terapia e a intensificarla. In sintesi, i trattamenti postoperatori sono modulati solo in base alla presenza di pCR/malattia residua. Il nostro lavoro sfida questa visione dualistica. Vi è infatti una piccola percentuale di pazienti (non più del 5%) che nonostante la pCR hanno purtroppo una recidiva della malattia e altre che, al contrario, guariscono pur avendo malattia residua al momento dell’intervento” spiega Carmine Valenza.
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“Si tratta quindi di identificare, indipendentemente dalla pCR, la percentuale delle pazienti ad alto rischio che necessita di una cura più intensa, evitando allo stesso tempo che quelle a minor rischio siano sovra-trattate. Ad oggi sappiamo che il rischio di recidiva nelle donne con pCR in certi casi è paragonabile a quello di donne che hanno malattia residua, ma non abbiamo gli strumenti per misurarlo. L’identificazione dei cosiddetti ‘lupi travestiti da agnello’ rappresenta quindi un’importante sfida diagnostica e terapeutica, e avrebbe l’obiettivo di personalizzare sempre di più i trattamenti e aumentare le probabilità di guarigione, per mezzo di studi clinici ad hoc. A questo fine è necessario identificare nuovi biomarcatori da integrare alla pCR, come la presenza di DNA tumorale circolante identificato con test innovativi (la “biopsia liquida”), l’estensione di malattia al momento della diagnosi, e i nuovi test genomici che descrivono le caratteristiche intrinseche del tumore. Questi spunti al momento sono ancora di natura sperimentale, ma fanno parte di filoni di ricerca specifici in cui i ricercatori IEO sono attivamente coinvolti” continua Dario Trapani.
“Il nostro lavoro mette in discussione un cardine dell’approccio terapeutico postoperatorio. La parola d’ordine è ottimizzare, cioè somministrare la giusta intensità di terapia, che si trova bilanciando efficacia e tossicità. Questo nuovo approccio al trattamento, che noi chiamiamo “risk adapted”, ha infatti l’obiettivo di ridurre la tossicità, e quindi migliorare la qualità di vita della donna, senza diminuire i risultati di sopravvivenza. Va inoltre sottolineato che quando si modula un trattamento (intensificandolo o deintensificandolo) occorre sempre considerare anche le preferenze dei pazienti, le loro aspettative e il loro progetto di vita. Sono questi alcuni degli argomenti trattati nella pubblicazione sul JCO, che ha l’obiettivo di alimentare il dibattito nella comunità scientifica sulla modulazione delle terapie, e di integrare la complessità e l’eterogeneità del carcinoma mammario con l’esigenza di qualsiasi paziente di essere curata con la più efficace e più tollerabile terapia disponibile” conclude Curigliano.