Ad ogni età il gioco adatto. I consigli degli esperti dell’ospedale Bambino Gesù

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Contatto con mamma e papà, letture e fantasia strumenti irrinunciabili. Il valore del gioco in ospedale

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Roma, 15 gennaio 2019 – “Giocare è una cosa seria”. In ogni fase dell’infanzia non è solo svago e divertimento, ma un modo di conoscere il mondo attraverso il corpo, i sensi, l’intelletto. Con l’attività ludica il cervello del bambino si evolve e accresce la propria complessità. Per questo è necessario proporre il gioco giusto all’età giusta. A cominciare dalla vicinanza con il corpo di mamma e papà, prima palestra per l’allenamento dei sensi del piccolo; puntando molto sulla lettura, fondamentale per il processo di crescita e con un dosaggio oculato di tablet e videogiochi.

Gli esperti dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede spiegano come funziona il gioco nelle diverse età, con informazioni utili per orientarsi nella scelta di quello più adatto.

Le fasi del gioco
Appena nato, il gioco del bambino passa attraverso il contatto con il corpo dei genitori. Questa forma di relazione favorisce la regolazione delle funzioni vitali, la riduzione dello stress, la comunicazione istintuale con mamma e papà, lo sviluppo cognitivo e le capacità motorie. Dopo i primi mesi di vita, infatti, gli adulti possono diventare la palestra su cui far giocare il bambino. Arrampicandosi, spingendosi e rotolandosi sul corpo del genitore apprenderà progressivamente nuove capacità di movimento come la posizione seduta, il gattonamento, il porsi in piedi da solo.

Dopo i 4-6 mesi i giochi possono essere dedicati anche allo stimolo della sensorialità. In questo periodo gli oggetti della vita quotidiana sono i più interessanti. I bambino tocca, osserva, annusa, ascolta, assaggia. Attraverso la manipolazione e il contatto impara a conoscere se stesso e il mondo che lo circonda.

È il periodo giusto per preparare il “cesto dei tesori”: un contenitore di stoffa o vimini da riempire con oggetti della quotidianità domestica, di materiali, forme e colori diversi, che incuriosiranno il bambino e stimoleranno lo sviluppo dei sensi e delle sue capacità motorie.

Dai 2 anni di vita il gioco si trasforma e i bambini cominciano a “fare finta di”: è il gioco simbolico, esperienza fondamentale per lo sviluppo cognitivo, sociale e affettivo. Il bambino esplora il mondo della fantasia, si confronta con un numero infinito di situazioni, avventure, sfide e, in questo modo, allarga il suo campo di azione.

Il gioco simbolico si sviluppa partendo dal gioco imitativo: tra i 12 e i 18 mesi i bambini iniziano a imitare piccole azioni che vedono intorno a loro (cullare, dare da mangiare, dormire, bere). Dai 2 anni passano al cosiddetto gioco parallelo: spesso in presenza di altri bambini ma senza una reale collaborazione, cominciano a creare piccole storie.

Dai 3 anni in poi le trame del gioco diventano sempre più lunghe e complesse. I bambini amano travestirsi e diventare i protagonisti delle loro storie, oppure iniziano a utilizzare pupazzi o personaggi per metterle in scena. In questo periodo giocano a lungo da soli o con altri bambini, creando delle vere relazioni.

La lettura, motore per la crescita
La lettura riveste un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei bambini in ogni epoca dell’infanzia. Il neonato è attratto dal ritmo della voce del genitore e la musicalità di una storia letta ad alta voce è capace di incantare anche i più piccoli, fin dalla nascita.

Accoccolarsi insieme e leggere rafforza molto il legame tra genitori e figli. Inoltre, un bambino abituato quotidianamente all’ascolto di letture, svilupperà più facilmente il linguaggio, sarà più curioso, avrà voglia di imparare a leggere e avrà migliori tempi di attenzione perché abituato ad ascoltare.

Il suggerimento per i genitori è, dunque, di leggere molto insieme ai propri figli perché – come spiega la neuroscienziata Maryanne Wolf – questa attività è una delle basi più importanti per lo sviluppo del linguaggio orale e, successivamente, per l’apprendimento della lettura ed è significativamente più efficace rispetto alla visione di una storia animata su un dispositivo digitale o dell’ascolto di una versione audio.

Come scegliere i giochi
Dagli esperti del Bambino Gesù, qualche regola per essere sicuri di selezionare sempre il gioco migliore per i bambini. Innanzitutto, il gioco deve essere adatto all’età. Durante l’attività ludica il bambino deve sentirsi capace e adeguato, altrimenti si troverà a sperimentare inutili frustrazioni. È superfluo, ad esempio, comprare una costruzione costosa e troppo complessa da montare se il piccolo non ha ancora l’età giusta.

La fantasia è il principale strumento di gioco per un bambino: giocattoli semplici e neutri (ad esempio un pupazzo di pezza) stimolano più di altri a utilizzare la creatività e a mettere in scena liberamente idee, emozioni, desideri.

Per esplorare i propri interessi e scoprire le proprie passioni, i bambini devono potersi confrontare liberamente con diversi materiali di gioco: è consigliabile, quindi, proporre giochi non necessariamente differenziati in base al sesso (ad esempio soldatini, pistole, supereroi per i maschietti; trucco, gioielli e bambole per le bambine). Questa distinzione, infatti, oltre a trasmettere un’idea rigida di cosa è adatto a un maschio e cosa a una femmina, può anche condizionare o limitare la naturale inclinazione per un certo tipo di studi o per la futura professione.

Dispositivi digitali e videogiochi: sì, con prudenza
Alcune ricerche scientifiche evidenziano che l’uso di videogame e soprattutto di giochi di azione, può migliorare le capacità di attenzione ed elaborazione visiva, la memoria di lavoro spaziale e visiva, con possibili benefici su particolari condizioni come la dislessia.

Inoltre, alcuni strumenti digitali possono essere utilizzati per espandere le abilità STEM dei bambini, ovvero quelle relative alle aree della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica. Contemporaneamente, gli studi confermano che un uso eccessivo di videogiochi o strumenti elettronici può indurre vere e proprie forme di dipendenza, con possibili comportamenti da ‘astinenza’ se il bambino ne viene privato.

Più in generale, l’impatto dei videogame sullo sviluppo cognitivo è influenzato anche dall’età del bambino, dalla quantità di tempo dedicato, dal contenuto del gioco e dal contesto sociale. Dunque, sebbene tali strumenti non debbano essere demonizzati, è consigliabile proporli con prudenza: non prima dei 6 anni di età, per non più di 30-60 minuti al giorno, e sempre sotto il controllo diretto dei genitori.

Il valore del gioco in ospedale
Quando un bambino è costretto a confrontarsi con un trauma, come la comparsa di una malattia, il gioco diventa parte integrante della terapia. A maggior ragione in caso di ricovero in ospedale, periodo in cui diventa essenziale incoraggiare i piccolo paziente a mantenere vivo un rapporto con la propria immaginazione e a proiettare nelle storie e nei disegni le sue fantasie, le sue paure e i suoi bisogni.

Quando un evento è eccessivo, cioè va oltre la capacità del soggetto di fronteggiarlo, il cervello non riesce a digerire e ad elaborare l’accaduto. Inoltre, l’area del cervello deputata alle funzioni del linguaggio appare bloccata, limitando la capacità di raccontare l’esperienza. In questi casi le attività ludiche ed espressive hanno un ruolo specifico nella prevenzione e nel trattamento dello stress e del trauma legato all’ospedalizzazione.

Nei bambini, la capacità di ripresa è innata. Il ruolo degli adulti è quindi quello di svolgere la “funzione cerotto”, ovvero di protezione e sostegno, mettendoli in condizione di poter accedere alla risorsa del gioco.

Le ludoteche del Bambino Gesù nelle sedi di Roma-Gianicolo, Palidoro e Santa Marinella, sono a disposizione di tutti i bambini e gli adolescenti ricoverati nei diversi reparti, assistiti in day hospital e in ambulatorio, così come dei fratellini e dei loro genitori. Gli educatori ludici propongono attività differenziate per fasce d’età e per contenuti. Inoltre, aiutano il bambino a rilassarsi e divertirsi, ma anche a esprimere stati d’animo, a elaborare le emozioni negative, le ansie e le preoccupazioni legate all’ospedalizzazione, facilitando così la collaborazione del paziente alle cure e i genitori a mantenersi attivi nell’ambito dell’esperienza del ricovero.

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