Tumori ginecologici, nuove terapie riaccendono la speranza anche nelle forme avanzate. I ricercatori del Gemelli all’ASCO 2023

Prof. Giovanni Scambia

Roma, 13 giugno 2023 – Tante le novità emerse dal congresso dell’American Society of Oncology (ASCO) anche sul fronte dei tumori ginecologici. I progressi si misurano in mesi o addirittura anni di sopravvivenza guadagnati, anche in alcune forme tumorali avanzate, per le quali la speranza di una lunga sopravvivenza si fa sempre più solida.

Il merito è delle nuove classi di farmaci, ma anche di una migliore conoscenza della malattia tumorale che consente di costruire strategie terapeutiche articolate e inedite con risultati molto importanti. Per questo è fondamentale però che le pazienti si rivolgano a centri d’eccellenza specializzati che dispongano di tutte le armi terapeutiche, anche quelle di ultima generazione e che siano in grado di gestire le nuove tossicità inerenti ai farmaci innovativi per gestirle prontamente, anche all’interno di un’équipe multidisciplinare.

Farmaci innovativi e presa in carico presso centri specializzati di grande esperienza e alti volumi fa la differenza in termini di sopravvivenza.

Vediamo con il prof. Giovanni Scambia, direttore scientifico di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Ordinario di Ginecologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, quali sono le principali novità emerse da questa edizione dell’Asco e i contributi presentati dalla scuola di Fondazione Policlinico Gemelli.

I principali studi presentati all’ASCO

Tumore ovarico recidivato

Nello studio internazionale di fase III MIRASOL, il mirvetuximab soravtansine, un coniugato anticorpo-inibitore dei microtubuli, riduce il rischio di progressione e aumenta la sopravvivenza di almeno 6 mesi, nelle donne con tumore ovarico avanzato, platino-resistente con elevata espressione del recettore per i folati sulle cellule tumorali, rispetto alla chemioterapia.

La chemioterapia mostra un’efficacia limitata e un’elevata tossicità nelle pazienti con tumore ovarico platino-resistente. Ogni ulteriore linea di chemioterapia si associa ad un tasso di risposta progressivamente inferiore e sempre meno pazienti sono in grado di tollerare il trattamento.

Questo studio dimostra la superiorità di questo nuovo farmaco rispetto alla chemioterapia e lo propone come nuovo standard di cura per le donne con espressione elevata del recettore per i folati sulle cellule tumorali. Dal 2014 non si avevano nuovi farmaci con l’indicazione specifica per questa malattia; l’ultimo, in associazione alla chemioterapia era stato il bevacizumab.

Un’analisi ad interim dello studio internazionale di fase III DUO-O, dimostra che l’aggiunta di olaparib e durvalumab nelle pazienti con tumore ovarico in stadio avanzato, senza mutazione BRCA e HRD +/-, prolunga la sopravvivenza libera da progressione (PFS). Purtroppo non esistendo uno screening per il tumore ovarico, più dei 2/3 delle pazienti sono diagnosticate in fase avanzata. Questa nuova associazione, prolunga la PFS e rappresenta dunque un ulteriore tassello di risposta al grave unmet need di trattamento per queste pazienti.

Tumore della cervice uterina in fase avanzata

L’immunoterapia (pembrolizumab) in prima linea, combinata con la chemioterapia aumenta la sopravvivenza fino a 28 mesi, rispetto ai 16 mesi del gruppo di controllo, riducendo il rischio di morte del 37%. Sono i risultati dello studio di fase III KEYNOTE-826, che ha coinvolto pazienti con tumore della cervice persistente, recidivante o metastatico non sottoposte a chemioterapia, né eleggibili al trattamento chirurgico o radioterapico. Lo studio dimostra che anticipare l’impiego dell’immunoterapia dà un beneficio sostanziale in termini di sopravvivenza globale, rispetto al suo impiego in seconda linea.

Tumore dell’endometrio avanzato o recidivato

Lo studio RUBY, considerato dagli esperti una pietra miliare nel trattamento di questa forma tumorale nelle pazienti dMMR/MSI-H (mismatch repair deficient/microsatellite instability-high) dimostra che l’aggiunta di dostarlimab (un anti-PD-1) al trattamento chemioterapico standard (paclitaxel-carboplatino) determina una riduzione drastica del rischio di progressione della malattia, soprattutto nelle pazienti con dMMR/MSI-H, ma anche nella popolazione generale.

Tumore della mammella ‘early’

Lo studio di fase III NATALEE dimostra che l’aggiunta di ribociclib (un inibitore delle cicline) alla terapia ormonale in fase adiuvante nel tumore della mammella HR+/HER- in stadio II-III, riduce il rischio di recidiva del 25%. Il ribociclib in questo studio è stato somministrato per 3 anni (al dosaggio di 400 mg, mentre nelle forme metastatiche si utilizza il dosaggio di 600 mg); la terapia ormonale per 5 anni. Questi risultati supportano dunque l’impiego del ribociclib in associazione alla terapia ormonale come trattamento di scelta in adiuvante, in un’ampia popolazione di pazienti con tumore della mammella HR+/HER2 in fase precoce, con o senza interessamento linfonodale.

Tumore della mammella metastatico

Lo studio prospettico randomizzato TROPiCS-02 ha trattato donne con tumore della mammella metastatizzato HR+/HER2-, con sacituzumab govinotecan, un farmaco-anticorpo coniugato diretto contro l’antigene Trop-2. All’ASCO è stato presentato un aggiornamento dei dati di sopravvivenza, in terza linea di trattamento, che dimostrano come l’impiego di questo farmaco migliori il controllo di malattia e la sopravvivenza globale (che è di 14,5 mesi con sacituzumab govitecan, rispetto agli 11,2 mesi con la chemioterapia a singolo agente), un risultato non facile da vedere in pazienti in questo stadio, già pesantemente pretrattate.

I contributi dei ricercatori del Gemelli all’ASCO 2023

The role of Chemotherapy Response Score (CRS) in the decision making process for advanced high grade serous ovarian cancer patients undergoing neoadjuvant chemotherapy

Questo studio, osservazionale retrospettivo comprendente 309 pazienti ha analizzato il ruolo di un indice di risposta alla chemioterapia neoadiuvante (NACT), il Chemotherapy Response Score (CRS), nella predizione della risposta ai PARP inibitori (PARPi) in pazienti affette da carcinoma sieroso di alto grado dell’ovaio sottoposte a NACT prima dell’intervento chirurgico.

I risultati mostrano che le pazienti con CRS3 (ottima risposta) e che ricevono un mantenimento con PARPi hanno una sopravvivenza significativamente aumentata rispetto a tutti gli altri sottogruppi. Quindi, ottenere un CRS3 è predittivo di risposta ai PARPi, sia nelle pazienti con mutazione BRCA che nelle BRCAwt.

Inoltre, si è visto che le pazienti con evidenza di deficit della ricombinazione omologa (test HRD positivo) conseguono più frequentemente un CRS3, suggerendo che il CRS possa essere un surrogato dello del test HRD. Attualmente è in corso un’analisi per confrontare il CRS con il test HRD in termini di risposta ai PARPi su parte di questa popolazione, per verificare l’ipotesi che il CRS sia parimenti efficace, ma allo stesso tempo di più facile esecuzione e meno costoso.

The role of innate immune system in modulating CHK1 inhibitor (CHK1i) response in BRCA wild-type (BRCAwt), platinum-resistant high-grade serous ovarian cancer (PR-HGSOC): Exploratory analysis from a phase II study of CHK1i prexasertib

Nonostante l’elevata presenza di linfociti infiltranti il ​​tumore (TILs) nel carcinoma ovarico, l’immunoterapia non si è rivelata una strategia di trattamento valida per questo tumore, evidenziando la necessità di studiare più a fondo la risposta immunitaria innata che potrebbe svolgere un importante ruolo antitumorale. Il prexasertib, un CHK1-inibitore, ha mostrato una promettente attività clinica in pazienti affette da carcinoma ovarico sieroso di alto grado platino-resistente, non portatrici di mutazione BRCA1/2 (NCT02203513, studio di fase II a braccio singolo).

Considerata l’attività immunomodulatoria del CHK1-inibitore in modelli preclinici, in questa analisi esploratoria abbiamo studiato l’associazione delle caratteristiche immunogeniche innate con la risposta al CHK1-inibitore. Prima di intraprendere il trattamento con prexasertib, le pazienti sono state sottoposte a biopsie per il sequenziamento dell’RNA. Attraverso un metodo che utilizza l’intelligenza artificiale, dal profilo trascrittomico tumorale (analisi CIBERSORT) è stata ottenuta una quantificazione dei sottotipi di cellule immunitarie componenti il microambiente tumorale delle pazienti trattate nello studio clinico al basale.

Inoltre, sono stati raccolti campioni di sangue prima del trattamento e a 15 giorni dall’inizio della terapia, per quantificare i diversi sottotipi di cellule immunitarie anche a livello periferico. Analizzando i campioni al basale e dopo 15 giorni, sono stati valutati anche i cambiamenti dinamici nei sottogruppi di cellule immunitarie, comparando due gruppi: pazienti che hanno tratto beneficio dal trattamento e pazienti senza evidente beneficio clinico.

Il ‘beneficio clinico’ veniva definito in base alla sopravvivenza libera da malattia (³ 6 mesi: beneficio clinico; <6 mesi: no beneficio clinico). Delle 49 pazienti arruolate nello studio (carcinoma sieroso di alto grado, platino-sensibile, BRCA wild-type), 39 avevano malattia valutabile secondo i criteri RECIST v1.1; di queste, 18 su 39 (46,2%) hanno avuto un beneficio clinico (CB). L’analisi CIBERSORT, eseguita su 15 delle 17 biopsie ottenute al basale che soddisfacevano i criteri per l’analisi in silico, non ha mostrato alcuna differenza nelle frazioni di cellule immunitarie presenti nel microambiente tumorale al basale comparando i due gruppi di pazienti in base al beneficio clinico.

Al contrario, la citometria a flusso ha permesso di evidenziare un aumento percentuale di cellule immunosoppressive derivate da monociti di derivazione mieloide e di monociti classici, nelle pazienti che non hanno tratto beneficio clinico dal trattamento, comparando i valori al basale e al 15 giorni di 18 pazienti. Al contrario, 19 delle pazienti che hanno tratto beneficio clinico dal trattamento, presentavano un aumento del marcatore CD83 (marker di maturità e funzionalità) sulla superficie delle cellule dendritiche (DCs) di derivazione mieloide.

Inoltre, analizzando i campioni ematici ottenuti a 15 giorni, è stato riscontrato un tasso più elevato di M-MDSC e CM nelle pazienti che non hanno trattato beneficio clinico, rispetto al gruppo di pazienti che hanno beneficiato dal trattamento. Una minore espressione di HLA-DR sulla superficie dei CM è stata riscontrata nel gruppo di pazienti senza beneficio clinico (mediana 19,25% vs. 27,8%; p=0,02). Nel complesso questi dati suggeriscono il possibile coinvolgimento dell’immunità innata nella modulazione della risposta al CHK1-inibitore.

In conclusione, l’aumento delle cellule immunosoppressive periferiche e la minore immunocompetenza del sistema immunitario innato possono contribuire alla resistenza al CHK1-inibitore, mentre la funzionalità delle DC può essere coinvolta nella risposta. Il miglioramento dell’immunità innata può rappresentare una strategia per aumentare la risposta CHK1-inibitore in questa popolazione con prognosi infausta, rappresentata dalle pazienti affetti da carcinoma sieroso ovarico di alto grado platino-resistente e BRCA wild-type.

Detection rate and diagnostic accuracy of sentinel-node biopsy in early stage ovarian cancer: A prospective multicentre study (SELLY)

La fattibilità dell’identificazione del linfonodo sentinella (SLN) nel carcinoma ovarico in stadio iniziale è stata dimostrata solo in piccole serie prospettiche. Abbiamo condotto uno studio prospettico multicentrico per valutare la fattibilità, il tasso di rilevamento e l’accuratezza diagnostica della procedura SLN nel predire lo stato patologico del linfonodo pelvico in pazienti con carcinoma ovarico in stadio iniziale.

Si tratta di uno studio di fase II a braccio singolo (EUDRACT 2019-001088-58) che include pazienti con presunto tumore ovarico epiteliale di stadio I-II. L’endpoint primario era la stima della sensibilità e dell’efficacia del SLN nel predire lo stato linfonodale. Assumendo una sensibilità del 98,5%, una prevalenza di linfonodi patologici del 14,2%, una precisione di stima d=5%, un errore di tipo I α = 0,05, è necessaria una dimensione del campione di 141 pazienti per testare l’ipotesi generale. Presentiamo qui i risultati finali dello studio SELLY, tra cui la fattibilità della tecnica, la sua sicurezza e la sua accuratezza.

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