Tumore dell’ovaio: in una proteina la speranza contro la forma più aggressiva

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Prof. Ugo Cavallaro, direttore dell’Unità di Ricerca in Ginecologia Oncologica IEO: “Abbiamo capito che CD73, grazie alla sua localizzazione sulla superficie delle cellule staminali cancerose – CSC, può essere un bersaglio terapeutico delle terapie molecolari contro il cancro dell’ovaio e potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche contro le cellule staminali del cancro”

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Milano, 15 marzo – Una ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia, sostenuta dall’ Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, ha messo a fuoco il ruolo di CD73, una proteina chiave nel controllo del tumore ovarico, anche nella sua forma più aggressiva, refrattaria alle terapie e purtroppo più diffusa, il tipo “sieroso di alto grado”. I risultati sono pubblicati oggi sulla rivista Stem Cell Reports.

I ricercatori, guidati da Ugo Cavallaro, direttore dell’Unità di Ricerca in Ginecologia Oncologica, hanno scoperto che CD73 è un fattore determinante delle cellule staminali cancerose (CSC), in grado di regolare diverse attività pro-tumorali in queste cellule. Le CSC sono una piccola popolazione di cellule tumorali che non vengono colpite dai trattamenti chemio- e radioterapici: anche nel caso di un’apparente buona risposta iniziale alla terapia, sono in grado di far ripartire il tumore, causando la cosiddetta ricaduta o recidiva. Sono quindi considerate una sorta di benzina che alimenta il tumore.

Nel caso del cancro ovarico la recidiva rappresenta il problema clinico più serio, in quanto molto spesso a questo punto la malattia è diventata resistente ai farmaci ed è quindi molto più difficile da trattare. Di conseguenza, capire meglio come agiscono le CSC e trovare il modo di inattivarle potrebbe fornire nuove possibilità di cura di questo tumore, soprattutto per prevenire le recidive.

“Abbiamo capito – spiega Cavallaro – che CD73, grazie alla sua localizzazione sulla superficie delle CSC, può essere un bersaglio terapeutico delle terapie molecolari contro il cancro dell’ovaio e potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche contro le cellule staminali del cancro. Il dato più rilevante è stato ottenuto con esperimenti con un anticorpo che blocca il funzionamento di CD73. L’uso di questo anticorpo in modelli sperimentali di tumori ovarici derivati dalle pazienti, i cosiddetti avatar, ha inibito sia l’attecchimento delle cellule di tumore ovarico (un processo che ricorda molto il meccanismo alla base delle metastasi e della recidiva tumorale) sia l’ulteriore espansione di tumori già formati”.

Questi risultati sono stati ottenuti grazie al contributo fondamentale delle pazienti, attraverso il loro consenso a donare i tessuti per la ricerca. I ricercatori dell’IEO hanno messo a punto una serie di metodi per identificare e studiare le CSC ottenute da campioni chirurgici di tumore ovarico. Questo ha reso possibile effettuare un’analisi delle CSC presenti nei tessuti malati e confrontare i risultati con l’analisi delle staminali dei tessuti sani. Si è così scoperto che il cosiddetto trascrittoma, ovvero l’insieme dei geni attivi in queste cellule, contiene una serie di potenziali biomarcatori. Tra questi l’attenzione si è concentrata in particolare su CD73.

Ma c’è un altro aspetto che rende CD73 ancora più promettente per le terapie anticancro.
“Molti tumori, incluso quello ovarico – continua Cavallaro – sarebbero in teoria attaccabili dal sistema immunitario dell’organismo. Il problema è che spesso il tumore sviluppa dei meccanismi di difesa che gli consentono di eludere l’attacco dell’immunità. L’immunoterapia, che sta ottenendo risultati insperati nella cura di alcune neoplasie, è nata proprio con l’obiettivo di inattivare i meccanismi di difesa dei tumori. Ebbene, CD73 rappresenta appunto uno di questi meccanismi, tanto è vero che al momento le aziende impegnate nello sviluppo di farmaci contro CD73 sono concentrate soprattutto sugli aspetti legati all’immunoterapia. In base ai nostri dati, quindi, usare CD73 come bersaglio terapeutico potrebbe bloccare le CSC e contemporaneamente riattivare la risposta immunitaria antitumorale. Al momento, tuttavia, si tratta solo di ipotesi che rimangono da verificare in modelli preclinici, nella speranza che si arrivi poi ad una sperimentazione clinica”.

Lo studio è stato sostenuto, oltre che da AIRC, dalla Fondazione IEO-CCM e della Worldwide Cancer Research.

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