Tumore della prostata, una diagnosi precoce può fermare la malattia agli esordi

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Istituto Europeo di Oncologia: “Se identificato e trattato per tempo, il tumore della prostata ha una guaribilità altissima. È fondamentale andare dall’urologo, anche se non si avverte il minimo disturbo, a 50 anni, o a 45 se si ha familiarità”

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Milano, 13 novembre 2019 – Visita dall’urologo a 50 anni, o a 45 per chi ha familiarità, e cure personalizzate: così sconfiggiamo il tumore della prostata. Con questo messaggio, l’Istituto Europeo di Oncologia aderisce a Movember: la campagna internazionale di sensibilizzazione sui tumori maschili. “Mo” come Moustache (baffi), da far crescere a novembre in segno di partecipazione, per superare la tradizionale reticenza dei maschi nei confronti della diagnosi precoce e la presa di coscienza circa la malattia.

“Il tumore della prostata, con 37.000 nuovi casi in Italia ogni anno, è il tumore più frequente nell’uomo e rappresenta un quinto di tutti i tumori che colpiscono il maschio – spiega Ottavio De Cobelli, Direttore del Programma Prostata dello IEO – L’incidenza è in  impennata costante, ma abbiamo due strumenti per combattere la malattia: la diagnosi precoce per fermare la malattia agli esordi, quando è curabile con trattamenti minimamente invasivi, e la personalizzazione delle terapie, che permette di vivere a lungo, intensamente e bene. Per entrambi però abbiamo bisogno della partecipazione attiva della popolazione maschile. È fondamentale andare dall’urologo, anche se non si avverte il minimo disturbo, a 50 anni, o a 45 se si ha familiarità. Lo specialista consiglierà a ciascuno la migliore prevenzione, che può contare su diversi esami, fra cui il dosaggio del PSA nel sangue, che tuttavia, va chiarito, non è di per sé un esame salvavita”.

Se identificato e trattato per tempo, il tumore della prostata ha una guaribilità altissima, ma può comunque avere un impatto importante sulla qualità di vita dopo l’intervento, in particolare sulla continenza urinaria e la potenza sessuale. Per questo lo IEO ha messo a punto e realizzato un programma di “Medicina del valore”, studiato per evitare o limitare al massimo questo impatto nel maggior numero possibile di casi.
Oltre alla consueta attenzione agli esiti oncologici (sopravvivenza) l’attenzione si concentra sulla qualità di vita dei pazienti candidabili a chirurgia, misurabile con strumenti oggettivi.

“Abbiamo misurato gli esiti funzionali e psicologici di centinaia di pazienti (oltre 600) operati di prostatectomia radicale, per un anno dopo la dimissione – continua De Cobelli – chiedendo a ognuno di loro di valutare sia gli eventuali disturbi organicistici (come la continenza, la potenza sessuale, le irritazioni e così via) che il loro vissuto del post-intervento. Ora conosciamo in modo scientifico i diversi fattori che influenzano la qualità di vita dopo prostatectomia e la nostra sfida è diventata la prevedibilità del risultato: qual è la probabilità di ogni paziente di avere una ripresa di funzionalità e un reintegro nella sua vita sociale. E soprattutto come possiamo impostare e gestire il processo di cura in modo che queste probabilità siano le più alte possibile”.

“L’elaborazione dei dati raccolti – aggiunge Massimo Monturano, Responsabile Area Medicina del Valore e Rischio Clinico IEO – ha creato un “profilo individuale di rischio multidimensionale”, che è utilizzabile da parte dei medici in fase preoperatoria per i nuovi pazienti. Si realizza così in modo concreto una cura personalizzata, che tiene conto di tutti parametri che oggi possiamo conoscere di un paziente, per offrirgli una cura di qualità, che non solo lo guarisca, ma lo restituisca rapidamente alla sua vita prima della malattia.” Il monitoraggio attento dei risultati clinici è un processo costantemente attivo sui pazienti IEO.

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