SLA e SBMA. Individuato meccanismo molecolare che regola la degradazione delle proteine ‘corrotte’

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Il gruppo di ricerca del prof. Angelo Poletti dell’Università degli Studi di Milano ha identificato un meccanismo compensatorio alternativo per rimuovere le proteine danneggiate che causano le malattie del motoneurone. I risultati sono pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Autophagy

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Milano, 13 aprile 2017 – Un lavoro appena pubblicato su Autophagy suggerisce come ottimizzare la rimozione di proteine neurotossiche in due differenti forme di malattia del motoneurone: l’Atrofia Muscolare Spinale e Bulbare (SBMA) e la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). La ricerca è stata sostenuta da Fondazione Telethon, Fondazione AriSLA, Fondazione Cariplo, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Regione Lombardia e dal programma europeo di programmazione congiunta sulle malattie neurodegenerative JPND.

Il gruppo di ricerca del prof. Angelo Poletti, del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Centro di Eccellenza sulle Malattie Neurodegenerative (CEND), dell’Università degli Studi di Milano ha individuato un meccanismo compensatorio attivato dalle cellule per eliminare le proteine neurotossiche responsabili di SBMA e SLA.

Gli esperimenti, condotti dal dott. Riccardo Cristofani e dalla dott.ssa Valeria Crippa, hanno dimostrato che l’espressione delle proteine mutate responsabili della morte dei motoneuroni correla con alterazioni della via degradativa nota come ‘autofagia’. L’autofagia è un sistema ‘spazzino’ che normalmente svolge un ruolo fondamentale nelle cellule, in quanto elimina rapidamente tutte le proteine che presentano una conformazione anomala che ne altera le funzioni. Nelle malattie del motoneurone, come la SBMA e la SLA, alcune proteine mutate, che assumono conformazioni anomale, tendono ad interagire formando aggregati. Quando l’autofagia è bloccata, queste proteine si accumulano nei motoneuroni con effetti dannosi per la loro sopravvivenza.

Lo studio ha analizzato il ruolo del trasporto intracellulare mediato dalla dineina che, trasportando le proteine danneggiate verso la degradazione tramite autofagia, collabora alla rimozione degli aggregati neurotossici. Tuttavia, se l’autofagia è bloccata, il trasporto delle proteine danneggiate mediato dalla dineina può causare il loro accumulo patologico. I dati ottenuti hanno evidenziato che il blocco del trasporto intracellulare, mediante l’inibizione della dineina, può attivare il sistema degradativo alternativo all’autofagia, quello del proteasoma che è in grado di eliminare le proteine neurotossiche riducendone l’aggregazione.

Commenta Angelo Poletti: “L’individuazione di questo meccanismo potrà permettere di incidere nella selezione della via più appropriata per garantire, in determinate circostanze, il mantenimento della corretta funzionalità e vitalità cellulare. Negli studi futuri cercheremo di identificare composti in grado di migliorare l’equilibrio tra i due sistemi degradativi, agendo sulle proteine che mediano la scelta tra i due sistemi, al fine di ottimizzare la rimozione delle proteine mutate”.

La regolazione del percorso di queste proteine aberranti potrebbe contribuire a rallentare il decorso di patologie come SBMA e SLA, caratterizzate proprio dall’accumulo di aggregati di proteine.

Gli esperimenti sono stati effettuati utilizzando diversi modelli cellulari di SBMA e SLA basati su motoneuroni immortalizzati e su cellule staminali indotte pluripotenti (iPSCs), ottenute da pazienti SBMA, differenziate a motoneuroni. Tali esperimenti hanno dimostrato l’importanza del trasporto mediato dalla dineina, sia nel processo di aggregazione intracellulare, sia nella scelta della via degradativa utilizzata dalle cellule per la rimozione di una determinata proteina.

La pubblicazione è stata il frutto della collaborazione del gruppo del prof. Angelo Poletti con gruppi di ricerca italiani e internazionali, fra cui quello della prof.ssa Serena Carra del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze, dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, quello del prof. Carlo Ferrarese del Center for Neuroscience, dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, e quello del dott. Christopher Grunseich del National Institute of Neurological Disorders and Stroke, NIH, Bethesda, USA.

fonte: ufficio stampa

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