Sindrome di Ehlers-Danlos, la malattia che colpisce il collagene

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Pelle iperestensibile, lassità delle articolazioni e lussazioni. Se colpisce i vasi sanguigni mette a rischio la vita. Rischio frattura: una scoperta italiana

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Milano, 7 luglio 2018 – Una sindrome che riunisce sotto un unico ombrello oltre una decina di alterazioni ereditarie del collagene e del tessuto connettivo. Condizione relativamente rara (interessa tra 1 e 5 soggetti ogni 10mila nati vivi, quindi tra 50 e 250 nuovi casi l’anno) che impatta pesantemente sulla qualità della vita. Classica, ipermobile e vascolare le forme più comuni.

Il collagene è il componente principale delle strutture di sostegno e del tessuto connettivo: fornisce elasticità e forza sia ad organi che a tessuti dei quali garantisce la riparazione. Ne esistono 7 tipi di cui il tipo 1 è il più diffuso.
Nella sindrome di Ehlers-Danlos alcune forme di collagene si presentano difettose e quindi lo diventa anche l’impalcatura elastica e stabile per tutto il corpo.

“I pazienti che visitiamo presentano eccessiva flessibilità delle articolazioni, che permette movimenti altrimenti impossibile per i soggetti sani, ma che espone al rischio costante di lussazioni anche gravi a carico di spalle, anche, falangi, mandibola – racconta la dottoressa Anna Maria Formenti Endocrinologa agli Spedali Civili di Brescia nella sua relazione al CUEM – ma questi pazienti soffrono anche di debolezza e ipotonia dei muscoli che determina fatica e dolori diffusi, e una importante riduzione della qualità di vita. La pelle, invece, è spesso fragile, iperestensibile e forma lividi anche con traumi lievi a causa della fragilità estrema dei capillari. Mentre la forma vascolare,più rara,è responsabile di una fragilità dei vasi con effetti diretti su circolazione e cuore e un aumento del rischio di aneurisma dell’aorta. Se nelle altre forme l’aspettativa di vita non risulta significativamente ridotta, in questa esiste un aumentato pericolo di mortalità precoce”.

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Prof. Andrea Giustina

Non esiste un trattamento risolutivo: la terapia è solo sintomatica (antinfiammatori, antidolorifici, fisioterapia) e questo influenza, insieme ai sintomi, una qualità di vita che risulta compromessa e limitata anche a causa della presenza di dolore.

Nonostante la malattia sia stata descritta più di un secolo fa solo recentemente è emersa la evidenza scientifica che possano essere le ossa a pagare il prezzo più alto: uno studio italiano pubblicato su Bone ha riscontrato una alta prevalenza di fratture vertebrali morfometriche presenti in più di un terzo dei pazienti.

Per questa ragione è stata varata una rete di centri ad alta specializzazione costituita dall’Endocrinologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, Istituto Ortopedico Galeazzi e Università di Brescia che si propone di approfondire gli aspetti fisiopatologici e clinici delle complicanze osteo-metaboliche di questa patologia, sottolinea la dott.ssa Fomenti.

“Per il momento non sono state ancora studiate terapie mirate in grado di limitare gli effetti detrimentali del danno osseo in questa malattia. Tuttavia, la rete che abbiamo costituito si propone anche di mettere a punto terapie specifiche che possono prevenire gli eventi fratturativi. In assenza di linee guida condivise a livello internazionale è comunque opportuno agire a livello preventivo con supplementazioni adeguate con vitamina D qualora i pazienti ne siano carenti” conclude il prof. Andrea Giustina, presidente CUEM.

Le anomalie del tessuto connettivo dipendono da difetti a carico di differenti proteine che partecipano alla costituzione delle fibre di collagene. Varie sono le modalità di trasmissione: autosomica dominante, autosomica recessiva, recessiva legata all’X; la mutazione responsabile della sindrome può essere ereditata dai genitori oppure comparire de novo in un individuo (forma sporadica). Nei casi di tipo classico, per esempio, la trasmissione è generalmente autosomica dominante (basta una sola copia alterata del gene coinvolto per manifestare la malattia).

Circa il 50% degli individui affetti da sindrome di Ehlers-Danlos di tipo classico mostra una mutazione a carico dei geni COL5A1 oppure COL5A2, codificanti per il collagene di tipo V. Purtroppo ad oggi, nella forma più diffusa, quella ipermobile, il gene bersaglio resta ancora ignoto.

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