Scoperta connessione tra microbioma intestinale e cancro al colon. Verso nuovi screening diagnostici non invasivi

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Prof. Nicola Segata: “Nei campioni fecali di persone affette da cancro al colon abbiamo osservato la presenza di un insieme di batteri ‘marcatori’ del carcinoma, in primis il Fusobacterium nucleatum che era già stato associato alla malattia, ma anche una decina di altri batteri che rafforzano tale associazione”

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Torino, 2 aprile 2019 – La prestigiosa rivista Nature Medicine, ha pubblicato uno studio sulle ricerche condotte da un gruppo di lavoro del Dipartimento del Centro di Biologia Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento in collaborazione con il Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino, che ha approfondito il collegamento tra la composizione del microbioma intestinale e il cancro al colon-retto.

I risultati dello studio, realizzati grazie a un finanziamento della Lega Italiana per la lotta contro i tumori (LILT) della sede provinciale di Trento, sono stati raggiunti grazie alla collaborazione dei ricercatori del gruppo di ricerca del dott. Alessio Naccarati dell’Istituto Italiano per la Medicina Genomica (IIGM) di Torino in collaborazione con la Clinica Santa Rita di Vercelli e dello Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano.

Il carcinoma al colon-retto è una delle più comuni neoplasie di natura maligna e si sviluppa a partire da gruppi di “cellule impazzite”, localizzate nella parete interna della parte finale dell’apparato digerente.

Le cause non sono ancora del tutto chiare, ma nelle forme non ereditarie – che sono la grande maggioranza – la componente genetica può spiegare solo in minima parte l’incidenza della malattia. Altri fattori che hanno un ruolo nello sviluppo della malattia sono le abitudini alimentari e lo stile di vita.

La ricerca pubblicata su Nature Medicine suggerisce che anche la popolazione batterica intestinale deve essere presa in considerazione vista la marcata correlazione tra la composizione del microbioma e la presenza di carcinomi.

“Nei campioni fecali di persone affette da cancro al colon abbiamo osservato la presenza di un insieme di batteri ‘marcatori’ del carcinoma, in primis il Fusobacterium nucleatum che era già stato associato alla malattia, ma anche una decina di altri batteri che rafforzano tale associazione” commenta il prof. Nicola Segata, responsabile del laboratorio di Metagenomica computazionale al Centro di Biologia Integrata dell’Università di Trento e coordinatore della ricerca.

“Un risultato interessante del lavoro è che indipendentemente dalla popolazione considerata, i batteri che sono stati associati al tumore colon-rettale sono sempre gli stessi” aggiunge la prof.ssa Francesca Cordero, responsabile del gruppo Quantitative-Biology del Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino.

I campioni fecali sono stati analizzati attraverso l’approccio della metagenomica computazionale dai gruppi di ricerca del prof. Segata e della prof.ssa Cordero.

“Si tratta del sequenziamento massivo e parallelo del materiale genetico presente in tali campioni che, tramite avanzati metodi bioinformatici sviluppati dal nostro laboratorio, ci permette di identificare organismi e geni microbiotici presenti nel microbioma intestinale – spiega il prof. Segata – All’analisi metagenomica sono seguite analisi statistiche e di apprendimento automatico che hanno considerato campioni provenienti da un totale di nove diverse popolazioni mondiali”.

“La scoperta della connessione tra il microbioma intestinale e il cancro al colon-retto è essenziale per definire un nuovo efficace strumento di screening non invasivo ed altamente accurato – continua la prof.ssa Cordero – Tale strumento è un pannello di marcatori che ha lo scopo di stratificare i pazienti (con tumore colon-rettale oppure sani con infiammazioni) analizzando esclusivamente campioni di feci”.

“Sono necessari altri studi che consentano di definire un insieme di marcatori eterogenei (basi su microbioma e molecole biologiche di origine umana) al fine di presentare strumenti diagnostici utilizzabili in clinica – aggiunge la prof.ssa Cordero – Inoltre, il collegamento della composizione del microbioma con l’efficacia dei trattamenti terapeutici, permetterà di definire strumenti clinici efficaci anche per gli aspetti prognostici”.

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