Patologie osteoarticolari, le figure chiave nel trattamento e le novità nel percorso terapeutico

A cura di Raoul Saggini – Professore Ordinario, Dipartimento di Scienze Mediche, Orali e Biotecnologiche, Medicina Fisica e Riabilitativa, Università G. d’Annunzio di Chieti, Pescara

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Prof. Raoul Saggini

Lo stato dell’arte delle patologie osteoarticolari nel 2018 di solito prevede da un lato l’intervento dell’ortopedico che, fatta la diagnosi, interviene con approcci che possono essere chirurgici, ma anche conservativi che si associa a quello del fisioterapista che interviene mettendo in pratica le indicazioni di tipo fisioterapico.

In questo ambito ovviamente si collocano anche il geriatra e il neurologo che si occupano anch’essi in maniera varia degli aspetti riabilitativi nel caso delle malattie dell’invecchiamento e in quelle degenerative e che quindi sottraggono o non permettono che venga sviluppato un protocollo, un percorso riabilitativo individuale ideale. Inoltre ci sono l’algologo e il radiologo interventista che possono fare una terapia mini interventistica per rimuovere le cause di questi dolori.

Ci sono poi anche altre figure non mediche, come l’osteopata e il chiropratico, che si occupano di problemi posturali e che possono anch’essi porsi come figure di riferimento terapeutico.

Ruolo del fisiatra
In questi ambiti dobbiamo osservare come sia invece il fisiatra la figura con le competenze più ampie e complete per inquadrare la sintomatologia, la causa e definire la terapia che può essere conservativa, ma non solo conservativa.Il fisiatra oggi è in grado di sviluppare una medicina riabilitativa aderente agli anni 2020 adottando un approccio olistico con cui affronta il soggetto definendo il progetto riabilitativo nella sua interezza e nel suo divenire.

Questo viene realizzato realizzando una definizione di azioni diverse ma coordinate con interventi senza dubbio conservativi, ma anche – e questa è la novità – avvalendosi di procedure terapeutiche a minima invasività allo scopo di contenere i tempi di trattamento e di massimizzare i benefici riabilitativi attraverso l’induzione di processi di rigenerazione tissutale.

È questo il vero campo dove vengono ad esplicarsi gli attuali ambiti riabilitativi nelle patologie osteoarticolari, ma anche nei fenomeni neurodegenerativi.

La medicina riabilitativa
Per fare questo il medico riabilitatore sviluppa quella che è la medicina riabilitativa interventistica, che è una medicina di precisione. Attraverso un inquadramento diagnostico e lo sviluppo terapeutico a indirizzo rigenerativo e riabilitativo, si focalizza su differenti quadri patologici dell’apparato muscolo scheletrico, del sistema nervoso centrale e periferico e sulla cura di quei quadri dolorosi.

Di solito i quadri dolorosi di rilievo vengono indirizzati all’algologo ma l’intervento dell’algologo, volto al controllo del dolore, consente al soggetto di uscire dalla spirale del dolore, ma non è terapeutico causale.

Può diventare terapeutico causale solo quando si applica in un contesto riabilitativo che  è riconducibile a un piano terapeutico definibile come “interventional percutaneous pain rehabilitative management”.

Alcuni esempi. Se un paziente con una sciatalgia dovuta alla presenza di un’ernia del disco, che è stato posto in trattamento riabilitativo, dopo una settimana di terapia continua a manifestare dolore, si può ricorrere anche a un trattamento mini invasivo come quello con ossigeno-ozono a livello periforaminale.

Un altro esempio è quello di un paziente con una gonartrosi grave associato ad un quadro algodistrofico che è sottoposto a un intervento con energie fisiche avanzate che agiscono sul quadro algodistrofico. Se dopo la prima settimana, pur essendo migliorato, ha ancora dolore alla massima flessione e ha anche un danno meniscale, l’esecuzione di una infiltrazione di acido ialuronico ibrido mette il soggetto nelle condizioni di proseguire e di migliorare i risultati del progetto riabilitativo.

Questo tipo di approccio si configura nel progetto riabilitativo globale che il fisiatra crea e che lo vede impegnato non solo nella definizione della patologia e nella creazione del protocollo, ma anche nella realizzazione insieme ai fisioterapisti.
È infatti il fisiatra che nel coordinare può decidere quando intervenire anche con la parte mininvasiva.

Novità nel percorso terapeutico
Nel percorso terapeutico della gonartrosi precedentemente descritta un ruolo può essere giocato anche dai farmaci. Un esempio è dato dall’utilizzo di patch a base di diclofenac con l’eparina che può essere di grande importanza nei quadri algodistrofici e con fasi di edemi duri e di edemi molli.
In queste situazioni è sicuramente utile l’uso di questa combinazione per veicolare rapidamente in sede il farmaco antinfiammatorio.

Un’altra situazione in cui può rivelarsi utile è nel corso delle pratiche di tipo riabilitativo nei soggetti artropatici cronici in fase di invecchiamento. Infatti è sempre presente un’alterazione della pompa plantare e un’alterazione del linfodrenaggio che li porta costantemente ad avere edemi di natura dura anche in sede articolare con quadri di fibrosi dei tessuti di rivestimento. Ed è importante che queste fibrosi vengano rimosse con l’utilizzo di energie fisiche evolute in associazione ad uso locale anche di sostanze come il diclofenac veicolate con eparina attraverso un patch locale.

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