A cura del prof. Paolo Calabresi, Direttore dell’Istituto di Neurologia dell’UOC e direttore dell’UOPC di Neurologia Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e della dott.ssa Anna Rita Bentivoglio, responsabile UOS Disturbi del Movimento Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS
Roma, 29 novembre 2019 – La Malattia di Parkinson non rappresenta un fenomeno circoscritto. Ricordiamo che è la seconda malattia neurodegenerativa dell’adulto, dopo l’Alzheimer. Oggi, nel nostro paese, si stima che vi siano poco meno di 250.000 malati.Considerando che ogni paziente ha almeno un caregiver che lo assiste, si comprende che questo fenomeno riguarda bel oltre mezzo milione di persone. Se allarghiamo l’orizzonte al resto dei Paesi, si stima che vi siano oltre 5 milioni di malati nel mondo, di questi circa 1 milione in Europa.
L’età rappresenta il fattore di rischio principale: la malattia, in oltre la metà dei casi si presenta dopo i 60 anni, e oltre gli 80 anni, 1 individuo su 50 sperimenta qualche disturbo. I casi che hanno una base genetica “monogenica” rappresentano intorno al 5%, quindi in Italia intorno ai 10.000, gli altri fattori di rischio sono l’esposizione ad alcune sostanze: pesticidi, diserbanti, mentre fattori protettivi sono l’attività lavorativa, l’attività fisica ed intellettuale.
La malattia
Tutti identificano la MP con il tremore delle mani. In realtà il disturbo più importante è la riduzione del movimento, sia nel senso del rallentamento che della riduzione dell’iniziativa motoria; il terzo segno caratteristico è la rigidità dei muscoli, una rigidità molto diversa da quella della spasticità, definita di tipo plastico.
Ma la MP è una condizione complessa, che si manifesta non solo con sintomi motori, ma anche con disturbi dei sensi, in particolare dell’olfatto, del gusto, può disturbare l’umore, il sonno, la funzione intestinale, la regolazione della pressione arteriosa.
Questo era già stato intuito dal neurologo che ha dato il nome alla malattia, James Parkinson, che l’ha descritta in un saggio pubblicato nel 1817 (“Essay on the shaking palsy”), denominandola “paralisi agitante”.
In realtà con il nome MP indichiamo condizioni patologiche molto diverse fra loro sia dal punto di vista dei meccanismi che le sottendono, sia per la manifestazione e la velocità della progressione. In alcune forme prevale il tremore, in altre la rigidità e il rallentamento, in altri i disturbi della memoria e delle capacità cognitive.
Possiamo studiare cosa succede nel cervello di chi si ammala con molti strumenti: neuroimmagini strutturali e funzionali attraverso metodiche come la risonanza magnetica, la spect, la PET, studio della variabilità della pressione arteriosa e dei riflessi cardio-vascolare, ma il laboratorio sta mettendo a punto dei biomarcatori che ci portano ancora più addentro ai meccanismi molecolari, spiega il prof. Paolo Calabresi, neuroscienziato che (dal 1 novembre è stato chiamato a dirigere l’Istituto di Neurologia della UCSC e l’UOC di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS) da oltre 30 anni studia i meccanismi di funzionamento dei gangli della base, ovvero quello che possiamo definire un sofisticatissimo computer nella profondità del nostro cervello, che connesso con la corteccia cerebrale, il cervelletto ed altre strutture che portano gli impulsi nervosi al nostro corpo, regola molte funzioni, fra cui il movimento. I biomarcatori saranno sempre più usati per definire la tipologia di MP e avviare l’individuo malato a cure sempre più personalizzate.
Le cure
La MP è causata alla disfunzione e a alla progressiva degenerazione di piccoli gruppi di cellule, cruciali per il controllo del movimento, che producono la dopamina. Le terapie sintomatiche ad oggi disponibili si basano principalmente su farmaci che reintegrano il precursore della dopamina o la sostituiscono (levodopa e dopamino-agonisti), o su strategie chirurgiche che modulano con impulsi elettrici l’attività dei gangli della base (DBS).
In Italia e in tutto il mondo sono in sperimentazione nuove molecole e sistemi di somministrazione alternativi alle pillole per migliorare l’efficacia dei farmaci sintomatici.
Oltre alle terapie sintomatiche, sono in sperimentazione anche terapie che hanno l’ambizione di cambiare la storia della malattia, rallentando e perfino fermando il processo che sta alla base della malattia, basate sulla somministrazione di anticorpi contro la proteina che si accumula nelle cellule, dando l’avvio al processo di degenerazione.
La Giornata Parkinson
Nonostante tutte le difficoltà economiche in cui versa il nostro Paese, l’Italia è una delle Nazioni all’avanguardia nella cura e nella ricerca della Malattia di Parkinson. È importante che cresca l’attenzione verso la malattia e che vi siano risorse per finanziare gli studi. A questo scopo l’Accademia LimpeDismov e le altre associazioni consorelle di tutto il mondo hanno voluto unirsi e lanciare la giornata di sensibilizzazione per la MP che ogni anno, l’ultimo sabato di novembre, richiama l’attenzione della stampa, delle Istituzioni e dell’opinion pubblica, su questo argomento.
Quest’anno, a differenza delle precedenti edizioni, i centri romani che si occupano di malattia di Parkinson, per offrire maggiore visibilità al tema e raccogliere fondi per la ricerca, organizzano un evento unico che si svolgerà il 30 novembre in collaborazione con Palazzo Merulana.
La giornata sarà articolata in tre fasce orarie: “Moka Time” 10.00/12.30; “Lunch Time” 13.00/16.00 e “AperiTime” 16.30/19.30 ognuna delle quali avrà un momento di degustazione, un momento culturale e un momento ludico/artistico.