Medicina di genere, un investimento per il futuro. Differenti risposte alle terapie tra i due sessi

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La valutazione delle differenze biologiche tra maschi e femmine riduce il livello di errore medico e promuove l’appropriatezza terapeutica. Al Regina Elena e San Gallicano incontro tra esperti nazionali

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Roma, 28 gennaio 2017 – La medicina di genere è la risposta a una più efficace gestione clinica delle malattie ed è potenzialmente in grado di produrre risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale. Le differenze di sesso, infatti, influiscono sull’insorgenza di molte malattie e sul loro decorso.

Per ridurre il livello di errore medico, promuovere l’appropriatezza terapeutica, migliorare e personalizzare le terapie è quindi necessaria una migliore comprensione delle differenze biologiche tra maschi e femmine. Tutto questo è emerso agli Istituti Regina Elena e San Gallicano di Roma durante l’incontro tra esperti nazionali sul tema.

In Italia la medicina di genere comincia a diffondersi quale urgente necessità di una medicina personalizzata, proprio perché le importanti differenze biologiche e socio-culturali tra maschi e femmine influenzano il lavoro quotidiano del medico e di conseguenza dell’organizzazione sociosanitaria.

Ad esempio nell’erogazione dei servizi sanitari, bisogna tenere conto del fatto che le donne, rispetto ai coetanei maschi, fanno più ricorso al medico di medicina generale e ai servizi di prevenzione, assumono più farmaci e gestiscono i problemi di salute della famiglia, rivestendo il ruolo di caregiver.

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Ciliberto, Appetecchia, Boldrini, Lenzi

Ma donne e uomini presentano differenze significative anche in termini di incidenza e progressione di molte malattie e risposta alle terapie. Le patologie del cuore, ad esempio, sono, in tutte le fasce di età, più frequenti nelle donne che negli uomini. Il 40% dei decessi femminili è dovuto a infarto e ictus. Le donne muoiono molto di più a causa delle malattie cardiovascolari che per tutti i tumori messi insieme, compreso il tumore del seno.

“Anche l’osteoporosi – precisa Marialuisa Appetecchia Responsabile dell’Endocrinologia IRE e organizzatrice del convegno – è considerata una patologia tipica del sesso femminile, legata alla carenza di estrogeni dopo la menopausa. La malattia oncologica può indurre modificazioni del metabolismo osseo soprattutto a causa delle terapie antitumorali quali l’ormonoterapia e le chemioterapie con riduzione della resistenza ossea ed un conseguente aumento di fratture sia nella donna e non meno nell’uomo. Tuttavia la maggior parte dei farmaci per l’osteoporosi sono stati studiati solo sulle donne.

In campo oncologico sono state descritte differenze di genere in molti tipi di tumori. Ma poco si sa sulla diversa reazione alle terapie antitumorali tra maschi e femmine e sul loro impatto nella gestione clinica della malattia. In generale però si può dire che alcuni chemio-terapici determinano una risposta migliore nelle donne che negli uomini.

In altri casi, però, le donne risentono di una maggiore tossicità della terapia. Il fegato che, come si sa, ha un ruolo importante nel metabolismo dei farmaci, presenta differenze fisiologiche tra maschio e femmina. Le donne sono particolarmente sensibili al danno epatico provocato dai farmaci e sono più suscettibili alle reazioni avverse da terapie antitumorali. In più lo ‘smaltimento’ del farmaco nelle donne – aggiunge Appetecchia – è influenzato da fattori come la menopausa, la gravidanza e le mestruazioni. La relazione tra tossicità dei farmaci anti cancro e influenze ormonali meriterebbe per questo di essere approfondita”.

“Sappiamo ancora molto poco – dichiara Gennaro Ciliberto, Direttore Scientifico IRE – dei meccanismi alla base delle differenze nella risposta alle terapie tra individui dei due sessi e questo perché in passato le ricerche hanno sottovalutato l’impatto clinico di questo fenomeno. Ora c’è una maggiore consapevolezza ma anche migliori strumenti scientifici tra cui la genomica e la farmacogenomica che ci possono e devono spingere a potenziare la ricerca in questo campo”.

La Medicina di Genere ha un ruolo di rilievo anche nella valutazione del rischio sul lavoro. Infatti le soglie di esposizione a specifici rischi, chimico, fisico, biologico, ergonomico, e di sovraccarico muscolo-scheletrico, sono state finora elaborate in modalità ‘neutra’ e sebbene siano molto cautelative, non rappresentano soglie universalmente valide, potendo variare in base al sesso, a fattori genetici e agli stili di vita.

“I nostri Istituti – conclude Branka Vujovic, Direttore Sanitario degli IFO – promuovono la Medicina di Genere, infatti anche quest’anno si sono aggiudicati 3 Bollini Rosa di Onda per l’appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici di specialità cliniche. Seguiamo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità secondo cui il principio di equità implica non solo la parità di accesso alle cure di donne e uomini, ma anche l’appropriatezza di cura secondo il proprio sesso. C’è molto lavoro da fare e partiamo da questo confronto per progetti mirati. A questo scopo è stato istituito nei nostri Istituti un Gruppo di Coordinamento Aziendale sulla promozione della Salute di Genere con la finalità di favorirne la cultura, sviluppare soluzioni innovative di accesso ai servizi, per diagnosi e cure sempre più mirate in oncologia e dermatologia, anche attraverso la collaborazione con network Istituzionali italiani e internazionali”.

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