Malattie infiammatorie intestinali e colon irritabile, gli ‘psicobiotici’ l’ultima frontiera del trattamento

La review appena pubblicata su “Digestive and Liver Disease” dal gruppo dei ricercatori del CEMAD, il Centro Malattie Apparato Digerente del Policlinico Gemelli

Roma, 3 febbraio 2021 – Ragionare ‘di pancia’, cioè d’istinto (in inglese, gut feeling), non è più solo un modo di dire dopo la scoperta del cosiddetto asse intestino-cervello, il binario sul quale viaggia una ‘conversazione’ a due direzioni, che ‘parla’ attraverso i collegamenti nervosi, ma anche con molecole ‘messaggero’, come gli ormoni o i neutrotrasmettitori. Questi messaggi ‘chimici’ sono prodotti dalle cellule dell’intestino, ma – ed è scoperta recente – anche dai batteri che compongono il nostro microbioma intestinale.

E sono sempre più convincenti le prove che alcuni di questi batteri producono sostanze in grado di influenzare il nostro benessere psicologico o contribuiscano al contrario a determinare problemi della sfera psichiatrica, dall’ansia, alla depressione, all’alessitimia (o ‘analfabetismo emotivo’, l’incapacità di processare e interpretare correttamente le emozioni). Per la loro capacità di manipolare la nostra psiche e l’inconscio, questi batteri intestinali si sono dunque guadagnati il titolo di ‘psicobiotici’.

Dott. franco Scaldaferri

“Va subito detto che per ora l’argomento appartiene al mondo della ricerca – afferma il dott. Franco Scaldaferri, dirigente medico del CEMAD (Centro Malattie Apparato Digerente) della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, docente nel corso di laurea specialistico in Biotecnologie per la medicina personalizzata all’Università Cattolica, campus di Roma – anche se gli psicobiotici potrebbero fare in futuro il loro ingresso in clinica per coadiuvare il trattamento di alcune patologie. Di certo non saranno terapie ‘a taglia unica’, ma che andranno personalizzate non solo a seconda della condizione da trattare, ma anche su misura del singolo paziente, partendo dallo studio della composizione del suo microbioma”.

Un fiume di parole malate scatenato dall’intestino ‘colabrodo’
Un’esaustiva review appena pubblicata su Digestive and Liver Disease dal gruppo multidisciplinare del prof. Antonio Gasbarrini (primo nome Angela Ancona e Irene Iavarone, neolaureate in medicina e tesiste del gruppo, Claudia Petito, psicologa e Valentina Petito, biotecnologa), Ordinario di Medicina Interna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, traccia lo stato dell’arte di questo argomento di frontiera.

Uno stress ambientale (fumo, l’uso di alcuni farmaci e antibiotici, una dieta povera di fibre e ricca di proteine animali, ecc.) può influenzare lo spessore dello strato di muco che riveste l’intestino e alterare così la sua funzione di barriera intestinale; questo può portare al fenomeno dell’intestino ‘colabrodo’ (leaky gut), condizione caratterizzata dal passaggio di alcuni prodotti batterici (o i batteri stessi) attraverso la parete intestinale (traslocazione), fino al circolo sanguigno.

Prof. Antonio Gasbarrini

Quando si verificano queste alterazioni, le cellule immunitarie presenti nell’intestino rilasciano citochine infiammatorie, determinando uno stato di infiammazione cronica. Il sistema nervoso intestinale può ‘avvertire’ tutto ciò come dolore locale e reagisce attivando l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che a sua volta scatena la neuro-infiammazione. Gli psicobiotici possono ripristinare la corretta composizione del microbioma intestinale ed esercitare effetti benefici sia sull’intestino, che sul cervello.

Le alterazioni del microbiota nei pazienti con sindrome del colon irritabile e Crohn; causa o effetto della malattia?
“L’attenzione dei gastroenterologi – spiega il dott. Scaldaferri – si è appuntata per ora soprattutto sui pazienti con la sindrome del colon irritabile (IBS) e su quelli con malattie infiammatorie intestinali (IBD), come la malattia di Crohn”.

La sindrome del colon irritabile (IBS) è un disturbo gastrointestinale molto comune (interessa un italiano su 6) e spesso sottovalutato in termini di impatto sociale, caratterizzato da dolore, fastidi addominali cronici e alterazione della motilità intestinale (nella forma IBS-C predomina la stipsi, in quella IBS-D la diarrea, nella IBS-M un insieme delle due). La mucosa intestinale di questi pazienti presenta un’infiammazione cronica di basso grado e il loro microbiota ha una composizione alterata: è in genere più ricco di Firmicutes e Proteobacteria e più povero di Bacteroidetes, Actinobacteria e Verrucomicrobia. I pazienti con la forma IBS-D sono poveri di Lactobacillus e Bifidobacterium.

Nei pazienti con IBS la prevalenza di disturbi dell’umore è del 94% (soprattutto i pazienti con IBS-D presentano spesso depressione e stati ansiosi, per uno squilibrio della serotonina intestinale, un neuromediatore fondamentale nei disturbi dell’umore). Anche nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali (IBD) l’incidenza di disturbi dell’umore è del 60-80% in fase attiva e del 30-60% nelle fasi di remissione.

Sia i pazienti con IBD che con IBS spesso presentano inoltre alessitimia (o ‘analfabetismo emotivo), condizione caratterizzata dall’incapacità di riconoscere e di descrivere verbalmente i propri stati emotivi e quelli degli altri e di distinguere le emozioni dalle sensazioni fisiche. La presenza di questo disturbo suggerisce l’idea che questi pazienti esprimano la loro sofferenza emotiva, attraverso la sofferenza fisica. L’alessitimia è presente nel 66% dei soggetti con IBS, nel 33% di quelli con IBD e nel 50% degli epatopatici.

Curare sia le malattie intestinali che l’ansia e la depressione con i batteri intestinali?
“Gli ‘psicobiotici’ – spiega il dott. Scaldaferri – sono una classe speciale di probiotici, in grado di influenzare favorevolmente il rapporto batteri intestinali-cervello, cioè il funzionamento del gut-brain axis; possono esercitare effetti ansiolitici e antidepressivi, agendo sul sistema nervoso intestinale e sul sistema immunitario. Partendo da queste osservazioni, molti studi sono andati a vagliare l’effetto dell’impiego cronico di alcuni batteri del microbiota sulla salute gastrointestinale e psichica e il loro impatto sulla qualità di vita dei pazienti”.

Gli studi condotti finora su modelli animali e sull’uomo suggeriscono che i sintomi d’ansia potrebbero essere trattati modulando il microbiota intestinale (nel topo funzionano Lactobacillus helveticus, Bifidobacterium adolescents e Bifidobacterium infantis). Il Lactobacillus rhamnosus sembra avere un effetto ansiolitico sull’uomo, sia nei pazienti con IBS, che nel delicato periodo post-partum; il Bifidobacterium longum avrebbe invece un effetto anti-depressivo nei pazienti con IBS. Infine l’uso di Clostridium Butyricum MIYAIRI 588, associato ai farmaci antidepressivi, è risultato efficace e ben tollerato nei pazienti con depressione, poco responsivi alla sola terapia farmacologica.

“Si tratta di indicazioni preziose ma assolutamente preliminari – sottolinea il dott. Scaldaferri – Di certo, un numero sempre più ampio di studi indica che le malattie gastrointestinali peggiorano in presenza di alterazioni psicologiche e viceversa, e questo sembra suggerire un ruolo attivo del gut-brain axis. Il microbiota intestinale è un protagonista attivo in questo asse e rappresenta un target innovativo per nuovi trattamenti sia nei disturbi intestinali, che in quelli psichiatrici. Studiare le alterazioni dell’asse intestino-cervello rappresenta un ulteriore passo avanti verso la medicina personalizzata”.

Approccio multidisciplinare al paziente affetto da disturbi dell’apparato digerente
“Curare la persona e non solo il sintomo – spiega il prof. Antonio Gasbarrini – è il compito del gastroenterologo del presente e del futuro ed è la come mission che ci siamo dati al CEMAD, dove l’approccio multidisciplinare che comprende studio del microbiota, delle abitudini nutrizionali e dell’assetto psicologico del paziente, è parte integrante dell’attività clinica e di ricerca per i nostri pazienti”.

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