Lotta contro il cancro, il diritto di chiedere la ‘second opinion’

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Spesso la richiesta di un secondo consulto oncologico altera il rapporto tra il paziente e il suo oncologo: Women For Oncology Italy ribadisce invece come sia un diritto del paziente che va guidato e gestito al meglio da parte degli stessi medici, in una patologia che in Italia è la seconda causa di morte

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Roma, 19 giugno 2019 – Sono tanti i motivi per cui la si chiede e tutti validi. Eppure il più delle volte ci sono delle remore, sia da parte del paziente che da parte del medico, nel richiedere un secondo consulto oncologico. In realtà, la cosiddetta ‘second opinion’ rappresenta per il paziente e la sua famiglia un tassello importante nel loro percorso terapeutico di lotta contro il cancro.

A sottolinearlo è Women For Oncology Italy, l’associazione nazionale che rappresenta le donne oncologhe del nostro Paese, nata da ESMO – European Society for Medical Oncology, che pone proprio il tema della second opinion tra i più rilevanti dell’evento ‘Donne che curano’, l’appuntamento annuale che si tiene a Montecitorio il 17 giugno al cospetto delle principali istituzioni politiche e sanitarie italiane.

La richiesta di una second opinion da parte del paziente, o dei suoi familiari, nasce da diverse esigenze: lo shock della diagnosi o di una prognosi infausta, il desiderio di cercare nuove metodiche diagnostiche o nuove cure. O, non di meno, anche la sfiducia presso l’istituzione in cui si è in cura o la scarsa capacità comunicativa del medico possono far sorgere questa esigenza che, di fatto, rappresenta un diritto del paziente.

A tal proposito, l’AIOM, Associazione Italiana di Oncologia Medica, nel 2019 ha reso pubblico un decalogo rivolto agli oncologi che rendesse più accettabile ed eticamente corretta questa pratica. Primo per non offendere o bloccare il malato che chieda un altro parere. Secondo per indirizzarlo subito verso i centri di riferimento più adeguati o verso i colleghi più specializzati in una data patologia. Dovrebbe infatti essere proprio lo stesso medico ad incentivare, in tutta sicurezza, il ricorso ad uno specialista più esperto.

‘Non siate referenziali’ recita il decalogo AIOM in uno dei suoi punti: la richiesta di un altro consulto non è un fatto personale e il nocciolo della questione non è tanto nel divieto o meno di rivolgersi ad un secondo medico, quanto piuttosto nel dare ai pazienti l’opportunità di curarsi fin da subito nei centri migliori per il proprio caso. Senza perdite di tempo prezioso, senza trasmigrazioni inutili da un centro all’altro e senza, anche, peregrinazioni autonome nel web alla ricerca di informazioni potenzialmente dannose se non filtrate dall’esperienza di un professionista di fiducia.

Una corretta gestione da parte di pazienti ed oncologi della second opinion può evitare ‘viaggi della speranza’ inutili per malati che magari chiedono consulti ad un medico non esperto nella patologia specifica da cui è affetto, con evitabili dispendi di tempo e denaro.
Un esempio virtuoso in questo ambito è rappresentato dalla Rete oncologica per i tumori rari, che va diffusa e fatta conoscere, anche a beneficio delle stesse famiglie dei malati la cui vita viene completamente stravolta quando capita un tumore.

Un tumore raro presenta particolari difficoltà diagnostiche e terapeutiche perché un oncologo ne incontra pochi nell’arco della sua carriera. Per cui diventa doveroso ricorrere ai centri esperti, dove confluiscono i pochi casi che ci sono Italia. Anche in questo senso, la second opinion può avere effetti benefici: se la famiglia viene indirizzata verso i centri specialistici più attrezzati, questo non è solo un valore aggiunto di carattere clinico, ma anche un importante sostegno di tipo psicologico.

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