La transizione nelle cure dal pediatra al medico dell’adulto: solo il 20% seguito nel post-infanzia

Caserta, 25 settembre 2021 – “Uno studio dal titolo ‘Lost in transition’ evidenzia come nella transizione i giovani adulti perdano trattamenti e cure: dall’80% dei bambini che ricevono l’assistenza si arriva a solo il 20% nel passaggio dalla fase infantile a quella adolescenziale. Chi latita sono proprie le strutture amministrative dell’ospedale perché riluttanti a mettere risorse, invece serve una regia che tenga conto delle varie esigenze nell’assistenza ospedaliera e delle varie età, quello che nel Regno Unito é chiamato “coordinatore della transizione”, figura su cui l’Imperial College si è speso più volte con alcune ricerche”.

È il past president della Società Italiana di Pediatria (SIP), Giuseppe Saggese, a mettere in guardia sulla necessità di rivedere il sistema di assistenza sanitaria agli adolescenti proprio nell’ottica di una genitorialità responsiva.

Saggese, che è anche ordinario di pediatria all’Università di Pisa e che è stato fondatore e presidente della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA), spiega come serva agire sul nesso che si crea tra la mancata assistenza ai giovani adulti e il ruolo dei genitori, nel corso del XXXIII Congresso della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS).

“Un adolescente su cinque (20%) – sottolinea Saggese – ha una malattia cronica su cui esiste un problema assistenziale importante, a cui non si è ancora data risposta: la transizione nelle cure dal pediatra al medico dell’adulto. Nella fase di transizione peggiora la malattia di base – ricorda lo specialista – crolla l’assistenza medica al ragazzo o alla ragazza. Il pediatra per questo deve partire presto con il suo intervento, ma l’assistenza deve essere presente anche in questa fase transitoria, cosa che invece non accade. Basti pensare al Piano delle Cronicità, con cui dal 2016, quando è stato rilasciato dal Ministero della Salute, ad oggi è stato fatto pochissimo”.

Come possono i genitori svolgere il proprio ruolo nel rispetto della genitorialità responsiva? “In questa fase di passaggio anche il ruolo dei genitori appare inadeguato – spiega il docente – perché, senza volerlo, giocano contro questo passaggio: vorrebbero restare nell’assistenza pediatrica, ma per il bene del proprio figlio devono cambiare mentalità. Il genitore responsivo capisce, quindi, che il setting di cure, sulla strada della via adulta, deve cambiare per favorire la transizione”.

La relazione di Saggese, in tandem con l’intervento della pediatra Iride Dello Iacono, intervenuta sulla genitorialità responsiva per il bambino, si concentra sul senso dell’adolescenza: “È un anello di congiunzione non solo tra genitori e figli, che presto potranno diventare a loro volta genitori, è anche il periodo in cui si forma la genitorialità responsiva nel giovane adulto”, precisa il past president della SIP.

In sostanza l’adolescenza è una fase di passaggio duplice, in cui l’adolescente cerca di raggiungere una propria identità, di staccarsi dai genitori e di acquisire un’autonomia. “Il genitore responsivo sa intercettare il distacco dei figli come segno di positività e sa cogliere nel momento l’occasione di rafforzamento del rapporto – afferma ancora Saggese – con una presenza autorevole, ma non autoritaria, ed è in grado di seguire il proprio figlio, ma soprattutto di manifestare sensibilità per le richieste e le esigenze del ragazzo o della ragazza. Quando ci sono problematiche, quali anche la trascuratezza, l’abuso di sostanze da parte dei genitori, o magari una certa fragilità familiare, i genitori tendono a mantenere i figli, inconsapevolmente o meno, in una condizione di scarsa indipendenza”.

“È proprio in questa fase – rimarca – che possono svilupparsi nell’adolescente comportamenti a rischio, dalla dipendenza da sostanze ai disturbi alimentari, solo per citarne alcuni. I genitori devono essere in grado di vigilare sugli adolescenti in questa fase delicata, ma pure prevenire le problematiche, attraverso un recall educativo: è centrale che riemerga la solidità del rapporto tra genitore e figlio costruito durante l’infanzia”.

A tal proposito, Saggese presenta un decalogo utile per i genitori: essere disponibili ad ascoltare i figli adolescenti; dimostrare di avere fiducia in loro e dimostrare di esserci, soprattutto quando questi commettono errori, cercando di sviluppare in loro la capacità critica di capire cosa è giusto e cos’è sbagliato; aiutarli a sviluppare i loro punti di forza, interessarsi alle loro attività scolastiche, fare in modo che possano invitare a casa gli amici e curare le relazioni; sapere sempre dove sono e con chi sono senza invadere la loro privacy; aiutarli a sviluppare il senso di responsabilità anche coinvolgendoli nelle problematiche familiari; educarli ad aiutare gli altri, in particolare le persone in difficoltà.

Parlando di genitorialità responsiva non si può evitare però di parlare di Covid-19, sottolinea Saggese: “Gli effetti diretti del virus sui ragazzi sono modesti ma sono stati forti e impattanti gli effetti indiretti, a livello psicologico e psichiatrico. Dal punto di vista sanitario le ritardate diagnosi di malattie importanti sono conseguenze drammatiche con cui dobbiamo fare i conti”.

Sul tema uno studio italiano ha preso in esame oltre 1.200 genitori che avevano disagi psicologici ed esaurimento nervoso durante i primi mesi della pandemia: “Questo ha avuto riflessi sulla capacità di essere responsivi nei confronti dei figli – afferma il docente – I genitori con bassa resilienza possono però riequilibrare ed evitare particolari conseguenze se anche i figli sono resilienti”.

In tutto questo, qual è il ruolo del pediatra? “È il regista degli interventi sugli adolescenti – risponde Saggese – coordina le azioni degli altri specialisti utili in questa fase, come il dermatologo, lo psicologo. Il pediatra peraltro già conosce il ragazzo, perché nella maggior parte delle volte conosce il minore fin da bambino e può svolgere anche una funzione di antenna sociale, non solo per il ragazzo ma appunto per le famiglie fragili o a rischio”, conclude.

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