I disturbi del sonno possono predire lo sviluppo di Parkinson e Alzheimer. Novità da uno studio internazionale

A cura del prof. Giuseppe Plazzi, Responsabile Centro del Sonno, IRCCS delle Scienze Neurologiche di Bologna

Roma, 4 gennaio 2023 – Le scoperte degli ultimi 20 anni dimostrano come lo studio del sonno e del ritmo circadiano abbia un ruolo centrale nella comprensione dei meccanismi per la prevenzione delle patologie cardiovascolari e internistiche, del declino cognitivo, della Malattia di Alzheimer e di altre patologie neurodegenerative.

Inoltre, grande attenzione, sempre in tema di riconoscimento precoce di una patologia neurodegenerativa, viene rivolta al disturbo del comportamento in sonno REM (REM sleep Behaviour Disorder – RBD), fattore già noto per il rischio di sviluppo di alfa-sinucleinopatie, come la malattia di Parkinson e altre forme neurodegenerative.

L’insonnia è il disturbo del sonno più frequente nella popolazione generale ed è caratterizzata da diverse tipologie: difficoltà dell’addormentamento e del mantenimento del sonno o da un risveglio precoce. Va distinta da condizioni che non consentono un tempo adeguato trascorso nel letto, e da altre situazioni caratterizzate da una deprivazione di sonno.

Prof. Giuseppe Plazzi

Soprattutto, secondo l’ultima classificazione internazionale dei disturbi del sonno, il paziente insonne, a qualsiasi età, deve presentare una disfunzione diurna che può presentarsi come senso di fatica, stanchezza, disturbo di memoria o di attenzione, cefalea, palpitazioni, difficoltà nello svolgere le comuni attività lavorative o nella socialità.

La regolarità del ritmo circadiano, ossia la corretta alternanza del ciclo sonno-veglia e la collocazione del sonno negli orari più idonei, rappresenta la prima condizione per garantire il mantenimento di un sonno notturno di buona qualità e una organizzazione fisiologica dell’architettura e della struttura del sonno notturno, con la corretta rappresentazione dei cicli di sonno e dell’alternanza sonno non-REM e sonno REM, entrambi fondamentali per il benessere cerebrale.

L’insonnia merita di essere indagata sempre in presenza di altre patologie neurologiche, ma anche se il paziente presenta patologie mediche o psichiatriche associate al disturbo di insonnia; questo perché il suo trattamento può andare a migliorare il quadro clinico generale del paziente.

Recentemente, la scoperta che il sistema “glinfatico” – un sistema di clearance cerebrale che ha anche lo scopo di ripulire il nostro cervello dall’accumulo patologico di cataboliti e di proteine tossiche – sia attivo quasi unicamente durante il sonno, pone nuovamente l’attenzione sul ruolo cruciale di una buona qualità del riposo notturno per il funzionamento ottimale del sistema nervoso centrale e per prevenire i processi neurodegenerativi e la deposizione e accumulo delle proteine patologiche (beta-amiloide e grovigli neurofibrillari di proteina tau) nel cervello che provocano patologie neurodegenerative, in particolare nella Malattia di Alzheimer.

Numerosi studi scientifici hanno indagato il sonno notturno nei pazienti a rischio di sviluppare patologie neurodegenerative, e in particolare la Malattia di Alzheimer, o che presentano una disfunzione cognitiva soggettiva o lieve nell’ottica di prevenzione della demenza. Il trattamento dell’insonnia diviene così uno degli obiettivi per la prevenzione della disfunzione cognitiva e della malattia di Alzheimer.

Data l’importanza di indagare la qualità del sonno notturno e le sue caratteristiche, la presenza di disturbi del sonno deve condurci a impostare trattamenti rivolti ad assicurare un sonno notturno di buona qualità e quantità: i target terapeutici sono i sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti direttamente sia nella regolazione del sonno che del ritmo circadiano sonno-veglia, in particolare il sistema GABA ed il sistema orexinergico. Il primo cruciale per il mantenimento del sonno non-REM, il secondo particolarmente attivo durante la veglia.

Il disturbo del comportamento in sonno REM (REM sleep Behaviour Disorder – RBD) è un disturbo neurologico in cui il momento dei sogni, generalmente violenti e terrificanti, è caratterizzato da comportamenti verbali e/o motori, con possibili conseguenti lesioni a se stessi e/o al compagno di letto. L’intensa attività motoria collegata a ciò che si sogna è provocata dalla perdita della normale atonia muscolare che caratterizza il sonno REM, durante il quale si perde completamente il tono muscolare volontario e si resta immobili anche durante la fase onirica.

L’RBD è un fattore già noto di rischio di sviluppo di alfa-sinucleinopatie, come la malattia di Parkinson, la demenza a corpi di Lewi, e altre forme neurodegenerative, ma fino ad oggi, non era possibile ipotizzare quando sarebbe potuta insorgere la malattia.

Uno studio dell’International RBD Study Group (un gruppo di studio internazionale nato nel 2010 con lo scopo di promuovere la ricerca e la divulgazione scientifica di questo disturbo) condotto dal prof. Dario Arnaldi dell’Università di Genova, ha portato alla scoperta che alterazioni nel funzionamento di specifiche aree cerebrali visibili alla SPECT (un esame di neuroimmagini), in combinazione con costipazione e deficit cognitivo, indica un altissimo rischio di sviluppare alfa-sinucleinopatie a distanza di 2 anni dalla diagnosi di RBD.

In altre parole, questo studio dimostra che si può stimare con precisione se un paziente con RBD è ad alto rischio di sviluppare Parkinson o altre alfa-sinucleinopatie, nei due anni successivi alla diagnosi di RBD. I risultati dello studio hanno un’importante rilevanza clinica. Sono, infatti, attualmente in fase di sperimentazione diversi farmaci neuroprotettivi, che vengono testati su pazienti con una alfa-sinucleinopatia ormai conclamata.

Ma l’avvio delle terapie avviene troppo tardi. Le alfa-sinucleinopatie sono caratterizzate da una lunga fase, detta prodromica, in cui ci sono già segni di neurodegenerazione ma non sintomi della malattia. Se i farmaci neuroprotettivi fossero somministrati a pazienti che si trovano ancora in questa fase si potrebbero avere maggiori possibilità di successo terapeutico.

Questo studio fornisce per la prima volta dei parametri che permettono di identificare con accuratezza quei pazienti che sono ad alto rischio di sviluppare a breve termine un’alfa-sinucleinopatia. Riconoscere precocemente l’RBD offre quindi una finestra terapeutica preziosissima nel corso di queste lunghe e debilitanti malattie dove sarà presto possibile applicare trattamenti neuroprotettivi.

Sempre per individuare i fattori di rischio di fenoconversione nei pazienti affetti da iRBD, è stato disegnato lo studio FaRPreSto (FAttori di Rischio PREdittivi di conversione nell’RBD idiopatico. STudio ItalianO). Coordinato dalla prof.ssa Monica Puligheddu dell’Università di Cagliari, FaRPreSto, è uno studio multicentrico nazionale osservazionale longitudinale retrospettivo e prospettico.

Altri obiettivi secondari sono: descrivere le caratteristiche sociodemografiche e cliniche dei pazienti con diagnosi di iRBD, studiare longitudinalmente lo sviluppo di patologie neurodegenerative dello spettro delle alfa-sinucleinopatie e stimare il tasso di conversione a 3, 5, 7, e 10 anni, monitorare l’impatto dell’iRBD sulla qualità della vita e del sonno,analizzare la correlazione tra fenoconversione e performance cognitive e tra fenoconversione e grado di perdita della normale atonia muscolare durante il sonno REM. Attualmente il database dello studio FaRPreSto coinvolge 13 centri della Associazione Italiana Medicina del Sonno e contiene 564 casi di RBD.

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