Fuga dalla dieta mediterranea. Le nuove carenze nell’alimentazione degli italiani

Nuove tendenze e suggestioni alimentari, tempi limitati, una maggiore propensione per il pasto veloce in piedi al posto della tradizionale tavola casalinga sono alcuni dei motivi di questa deriva nutrizionale degli italiani, pur in un periodo di maggiore sensibilità per la salute e il benessere in generale

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Milano, 9 maggio 2017 – Fuga dalla dieta mediterranea: un dato allarmante segnala il progressivo allontanamento degli italiani dalle buone e tradizionali abitudini alimentari che appartengono alla storia della nostra tavola e che hanno protetto la nostra salute per secoli.

Le abitudini alimentari degli italiani, pur in un’epoca di sentito salutismo, risultano carenti in diverse componenti fondamentali per un corretto apporto alimentare e quindi per un’efficace protezione della salute.

Lo dimostrano i risultati del Test della Piramide raccolti da “Curare la Salute” ed elaborati dal Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) presentati oggi, durante il convegno Spazio Nutrizione a Milano, da Ketty Vaccaro, responsabile area salute di questo istituto di ricerca. Il test è stato compilato da oltre 27.000 utenti e i dati raccolti analizzati dal Censis.

Ne è derivato un quadro del tutto inedito, e per certi aspetti sorprendente, delle abitudini alimentari degli italiani, da cui risulta la crescente tendenza a consumare poca frutta, verdura e pesce, pochi legumi, addirittura poca pasta. Soltanto l’olio – un alimento elettivamente tipico del mediterraneo – mantiene stabilmente il suo consumo.

“È un segno del paradosso alimentare di questi tempi – commenta Michele Carruba, direttore del centro studi e ricerche sull’obesità dell’Università di Milano e membro del comitato scientifico del congresso – L’abbondanza dei cibi oltre al cambiamento dello stile di vita e abitudini alimentari hanno portato a un impoverimento nella qualità dei consumi e all’abbandono di quegli alimenti più semplici ma nutrizionalmente più nobili che appartengono da sempre alla nostra cultura alimentare mediterranea”.

Più colpite da questo paradosso alimentare sono le popolazioni esposte a rischi carenziali: bambini, donne in gravidanza, anziani, ma anche tutte le persone impegnate in attività fisiche e psichiche stressanti.

Il pesce, per esempio, è quasi sconosciuto nell’alimentazione del bambino, quando “dovrebbe essere parte abituale, almeno due volte a settimana, anche prima dei tre anni di vita”, come raccomanda Marcello Giovannini, professore emerito di pediatria esperto di nutrizione pediatrica.

Lo stesso vale per la donna in gravidanza, che, come sostiene Fabio Parazzini, ginecologo della 1a Clinica ostetrica e professore dell’Università di Milano, “durante la gestazione non dovrebbe abbandonare legumi, pasta e cereali, assumere adeguate quantità di acqua e integrare la dieta con acido folico, vitamine e minerali”.

Un impegno, quello di divulgare i sani principi della Dieta Mediterranea, a cui sono chiamati a rispondere tutti gli operatori della salute, in particolare il medico di medicina generale e il farmacista rivestono ruoli fondamentali nell’educazione alla salute e nella cura del cittadino.

Nuove tendenze e suggestioni alimentari, tempi limitati, una maggiore propensione per il pasto veloce in piedi al posto della tradizionale tavola casalinga sono alcuni dei motivi di questa deriva nutrizionale degli italiani, pur in un periodo di maggiore sensibilità per la salute e il benessere in generale.

Anche se il nostro paese è considerato la culla della Dieta Mediterranea va sempre considerato il rischio di sviluppare carenze alimentari di una certa rilevanza, soprattutto in periodi di maggiore necessità nutrizionale dovuta a stress, impegni lavorativi e di studio, età particolari, come l’infanzia, la gravidanza, la maturità e la terza età.

Va segnalato peraltro un aspetto preoccupante: il consumatore spesso ha una errata percezione dei propri consumi alimentari, in termini di qualità e quantità. L’analisi del Censis ha infatti evidenziato una discrepanza fra i consumi dichiarati e il giudizio individuale sulle proprie abitudini nutrizionali: un problema in più da risolvere per i professionisti della salute, impegnati a offrire strumenti di rieducazione alimentare per ricondurre la popolazione a consumi più sani.

fonte: ufficio stampa

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