“Fine vita”: necessario il coinvolgimento del mondo chirurgico

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È necessario un documento, approvato anche dalle Società Scientifiche di area chirurgica, che possa aiutare il clinico e il paziente nella scelta tra un’opzione chirurgica o un percorso di cure palliative nella fase di fine vita. Lo afferma in questa intervista Luigi Riccioni, anestesista-rianimatore del Centro di Rianimazione 1 dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma

Luigi-Riccioni

Dott. Luigi Riccioni

Bologna, 30 dicembre 2015

Dottore, può illustrarci se ci sono nuovi criteri di ricovero in Terapia Intensiva?
“L’invecchiamento progressivo della popolazione ha aumentato enormemente il numero di pazienti con insufficienze d’organo croniche. Stabilire se, in caso di scompenso, si configuri un quadro di fase terminale della malattia, per il quale un trattamento intensivo risulterebbe sproporzionato, rappresenta un compito estremamente impegnativo per l’intensivista. La grande novità degli ultimi anni è stata la pubblicazione di un documento sul trattamento dei pazienti con insufficienza cronica d’organo in fase end stage, approvato dalla SIAARTI e da altre nove Società Scientifiche, che offre al clinico una nuova metodologia basata anche sull’esame di una serie di criteri clinici specifici per facilitarne le decisioni cliniche ed etiche”.

Quanto sono cambiati questi criteri nell’ultimo decennio? E sotto quali aspetti?
“Probabilmente i criteri non hanno subito grosse modifiche nell’ultimo decennio, ma è difficile verificarlo perché questi criteri, prima del suddetto documento, non erano mai stati codificati in modo così chiaro e sistematico. Decisioni tanto delicate quali indirizzare un paziente verso un percorso di cure intensive o, in alternativa, di cure palliative erano demandate interamente alla coscienza e alla sensibilità clinica del singolo rianimatore”.

Quali sono i provvedimenti più urgenti che dovrebbero essere intrapresi per una migliore gestione dei reparti di Terapia Intensiva?
“In primo luogo diffondere la cultura della ‘Rianimazione aperta’. Purtroppo l’appello lanciato in uno storico editoriale del 2002 intitolato “Let’s open the door” è stato accolto in un numero troppo limitato di rianimazioni italiane (solo il 2% secondo gli ultimi dati). In secondo luogo diffondere la cultura della proporzionalità delle cure, sulla scia della pubblicazione del documento intersocietario”.

E per il futuro sono previste novità?
“L’obiettivo prioritario è quello di coinvolgere anche il mondo chirurgico nel dibattito sulle scelte di fine vita. L’ideale sarebbe riuscire a produrre un documento, analogo nello spirito a quello sulle insufficienze croniche d’organo in fase end stage, approvato anche dalle Società Scientifiche di area chirurgica che possa aiutare il clinico e il paziente nella scelta tra un’opzione chirurgica o un percorso di cure palliative”.

Quanto è importante e quanto giova al paziente dare la parola ai familiari in Terapia Intensiva?
“È stato dimostrato che un supporto psicologico precoce (fornito cioè da specialisti al letto del paziente) è in grado di ridurre significativamente l’incidenza di disturbi psichiatrici a distanza. Benché non sia stato ancora dimostrato da alcun studio, è probabile che il supporto fornito in rianimazione dai familiari possa essere altrettanto efficace. Per non parlare poi degli effetti benefici sui familiari stessi”.

Quali sono i principali aspetti etici della pratica clinica e della ricerca in Terapia Intensiva?
“Nella pratica clinica le scelte di fine vita, la proporzionalità delle cure, la sedazione terminale, la rianimazione aperta, la comunicazione con il paziente e i familiari. Nella ricerca direi principalmente l’autonomia del ricercatore dai condizionamenti (economici, accademici, etc.). La lezione che abbiamo imparato dall’ultimo decennio, passando dalle terapie miracolose alle ritrattazioni, è che troppa ricerca si sia rivelata, a conti fatti, pessima ricerca”.

fonte: ufficio stampa

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