Emicrania 3.0, il ruolo degli anticorpi monoclonali. Convegno al Gemelli

Prof. Paolo Calabresi

Roma, 15 febbraio 2024 – È la seconda causa di disabilità nel mondo e la prima tra le donne in età fertile; a soffrirne in Italia è una donna su 5, nel 5-7% dei casi in forma grave. Fondamentale riconoscere l’emicrania e trattarla in modo adeguato da subito per evitare che cronicizzi, rendendo un inferno la vita.

Al via un grande sforzo collettivo per campagne di prevenzione tra i giovani e la redazione di un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) che coinvolga medici di famiglia, neurologi del territorio e centri cefalee. Tante le nuove terapie a disposizione. Queste le tematiche affrontate al convegno “La Neurologia del Gemelli” (16 febbraio 2024), che ha ricevuto il patrocinio della Società Italiana di Neurologia (Sin) e della Società Italiana per lo Studio delle Cefalee (Sisc).

L’emicrania è una malattia decisamente ‘rosa’, visto che interessa le donne in proporzione tripla rispetto agli uomini, in particolare in età fertile, cioè dall’adolescenza, alla menopausa; quindi nell’età di massima produttività lavorativa, di grande impegno per la carriera, oltre che per la gestione dei figli e della famiglia. E si tratta di una patologia molto impegnativa, al punto di essere considerata la seconda causa di disabilità nel mondo e la prima tra le donne in età fertile, secondo lo studio “Global Burden of Disease” (2019) del Lancet.

“Il primo messaggio da dare – afferma il prof. Paolo Calabresi, Direttore della UOC di Neurologia di Fondazione Policlinico Gemelli e Ordinario di Neurologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma – è che questa malattia va affrontata subito con lo specialista neurologo perché bisogna evitare che da emicrania ‘sporadica’, si trasformi in emicrania ‘ad alta frequenza’ (cioè fino a 14 episodi al mese) o in forma ‘cronica’ (cioè caratterizzata da oltre 15 episodi al mese)”.

La frequenza degli attacchi tra l’altro spesso si associa ad un uso eccessivo di farmaci sintomatici. “Questi pazienti – ricorda il prof. Calabresi – nell’arco di un mese assumono ‘manciate’ di farmaci sintomatici, spesso neppure prescritti dal medico, ma assunti per passa parola. Si tratta spesso di FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei) e un loro uso eccessivo e senza criterio non è privo di conseguenze. Oltre ai possibili effetti indesiderati di questi farmaci sull’apparato gastro-intestinale e sui reni, si può arrivare infatti alla cosiddetta cefalea ‘da uso eccessivo di farmaci sintomatici’, che rappresenta una condizione drammatica, perché arrivati a quel punto, i farmaci non producono più alcun beneficio”.

I pazienti, disperati, li assumono a dosaggi sempre più elevati, senza alcun risultato. “Il neurologo – ricorda il prof. Calabresi – spesso si trova a dover disintossicare questi pazienti, prima di poter iniziare una terapia di profilassi, indicata nel caso dell’emicrania ad alta frequenza e cronica. Molti dei farmaci utilizzati per la profilassi degli attacchi sono ormai dei ‘classici’ come l’amitriptilina, il topiramato, i beta-bloccanti e la tossina botulinica. Si tratta di terapie prese in prestito da altre patologie, non nate espressamente come anti-emicranici”.

Ma oggi ci sono importanti novità in campo farmacologico e questa malattia, che un tempo quasi stentava ad essere considerata tale, ha finalmente acquisito una sua dignità. “Questi nuovi farmaci – spiega il prof. Calabresi – sono gli antagonisti del CGRP (calcitonin gene-related peptide ligand, cioè gli antagonisti del ligando peptidico correlato al gene della calcitonina), un peptide che provoca vasodilatazione”.

Bloccando questa molecola o il suo recettore, il paziente prova un grandissimo sollievo e si riducono sia la frequenza, che l’intensità delle due crisi. “Si tratta di anticorpi monoclonali – spiega l’esperto – che vengono iniettati per via sottocutanea una volta al mese o endovena una volta ogni tre mesi. In questo momento sono in commercio 5 farmaci appartenenti alla categoria degli anti-CGRP; ma l’AIFA richiede che il paziente venga trattato prima con i farmaci anti-emicranici ‘classici’ e solo in caso di scarsa efficacia, si può accedere al trattamento con questi nuovi anticorpi monoclonali anti-CGRP; ogni anno inoltre bisogna rivalutare la necessità della terapia con anticorpi monoclonali, che vanno comunque sospesi per un mese ogni anno”.

“Un’ulteriore novità – prosegue il prof. Calabresi – è rappresentata dai nuovi farmaci sintomatici per l’emicrania, ancora in fascia C, che sono i ditani e i gepanti. Si tratta di farmaci orali bloccanti il recettore del CGRP. Rispetto ai vecchi triptani, sono privi di effetti cardio-vascolari, che ne precludeva l’uso agli ipertesi e ai cardiopatici.

Un problema di medicina sociale

A soffrire di emicrania è il 20% delle donne e di forma cronica almeno il 5-7%. “Visto il burden dell’emicrania sull’individuo e sulla società – ricorda il prof. Calabresi – il nostro Governo ha stanziato un finanziamento importante per campagne educative rivolte ai giovani e mirate a prevenire la cronicizzazione delle emicranie e per la messa a punto di Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (Pdta). Il Lazio ha a disposizione un milione di euro; una parte di questo finanziamento lo utilizzeremo proprio per scrivere un Pdta sull’emicrania che coinvolga il medico di famiglia, i neurologi del territorio e i centri cefalee (nel Lazio ce ne sono una ventina), che sono i prescrittori di questi anticorpi monoclonali. Ma è necessario prevenire a monte questa patologia, anche con uno stile di vita adeguato; per questo sono importanti le campagne informative”.

“Molto importante è l’attività fisica regolare, una buona igiene del sonno, non fumare ed eliminare dalla dieta alcuni alimenti, come insaccati e cibi ad elevato contenuto di glutammato, che possono essere fattori scatenanti. È importante anche il paziente tenga un ‘diario delle cefalee’ per intercettare le forme che vanno verso la cronicizzazione. Perché il nostro obiettivo fondamentale è proprio quello di evitare che l’emicrania cronicizzi”, conclude il prof. Calabresi.

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