Disagio mentale, lo sport come veicolo di socializzazione e strategia per promuovere il benessere. Studio UniVerona

Una ricerca del dipartimento Neuroscienze, Biomedicina, e Movimento dell’Università di Verona dimostra i benefici dell’attività fisica nelle persone vulnerabili con disagi psicologici

Verona, 23 febbraio 2021 – Dallo yoga alla camminata, all’allenamento funzionale, lo sport può davvero favorire il benessere e la salute mentale nelle persone più vulnerabili, come i richiedenti asilo.

Questo il risultato emerso dallo studio “Efficacy of physical activity interventions on psychological outcomes in refugee, asylum seeker and migrant populations: A systematic review and meta-analysis” pubblicato sulla rivista Psychology of Sport and Exercise, ad opera di un gruppo di ricerca dell’Università di Verona guidato da Corrado Barbui, docente di Psichiatria, e Federico Schena, direttore vicario del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento, con prima autrice Marianna Purgato. Altre autrici dell’ateneo sono Francesca Vitali, Michela Rimondini, Doriana Rudi, Eleonora Prina e Lidia del Piccolo.

Lo studio è stato condotto in collaborazione con la Victoria University di Wellington (Nuova Zelanda), università di Cagliari, University of Münster (Germania), con i finanziamenti del MIUR, come Progetto dipartimento di Eccellenza del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento.

“Abbiamo condotto una revisione sistematica, utilizzando la metodologia Cochrane, un rigoroso metodo di analisi scientifica, per testare l’efficacia degli interventi di attività fisica sulla salute mentale in popolazioni vulnerabili come i richiedenti asilo, rifugiati e migranti”, spiega Marianna Purgato. “Abbiamo raccolto 27 studi che coinvolgevano più di 4.000 persone – aggiunge Francesca Vitali – Le attività fisiche proposte nelle sperimentazioni includevano diverse tipologie di allenamento come camminata, yoga, allenamento funzionale e attività miste individuali e di gruppo”.

Le popolazioni coinvolte erano migranti o rifugiati adulti che vivevano nel Paese ospitante da periodi variabili (da alcuni mesi ad alcuni anni), che presentavano spesso sintomi psicologici o difficoltà legate ad esperienze pre-migratorie, migratorie e di insediamento nel nuovo Paese, come ad esempio difficoltà con l’apprendimento di una nuova lingua.

“I risultati delle meta-analisi hanno messo in luce un effetto benefico significativo dell’attività fisica nel migliorare le strategie di coping e auto-efficacia, il funzionamento generale, le aspettative verso le proprie capacità e nel ridurre i sintomi psicologici – concludono le ricercatrici – I risultati dello studio aprono la strada alla possibilità di incentivare interventi di attività fisica in popolazioni vulnerabili, utilizzando lo sport come veicolo di socializzazione, e come strategia per promuovere il benessere attraverso lo stile di vita. A questo proposito sta partendo uno studio osservazionale, che è parte delle attività del dipartimento di Eccellenza, che vede la collaborazione tra il Centro di ricerca Oms e Scienze motorie per offrire interventi di attività fisica a richiedenti asilo, rifugiati e migranti”.

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