Covid-19, primi test vaccino con inibizione proteina spike. Vicini a sperimentazione sull’uomo

Prof. Andrea Gambotto, co-autore senior e professore del Dipartimento di Chirurgia, già in forza al Dipartimento di Genetica molecolare e Biochimica presso l’Università di Pittsburgh: “I topi hanno prodotto un livello anticorpale sufficiente a neutralizzare il virus per almeno un anno. Questo arco di tempo è uguale a quello già esistente per altri virus come ad esempio quello influenzale”

Roma, 10 aprile 2020 – L’aumento dei contagi da Covid-19 rallenta in Italia, ma i decessi continuano a registrarsi in modo abbastanza costante e, secondo gli esperti, ci vorranno ancora settimane per avere una curva epidemica davvero in calo. Insomma mentre tutto il Vecchio continente, l’America e il resto del mondo sono alle prese con la pandemia, molti i ricercatori che continuano a lavorare instancabilmente a un vaccino.

Diverse importanti realtà sono anche a buon punto. Chissà se entro l’estate ne avremo uno? Andrea Gambotto, co-autore senior e professore del Dipartimento di Chirurgia, già in forza al Dipartimento di Genetica molecolare e Biochimica presso l’Università di Pittsburgh, in Pennsylvania, da sempre è impegnato nella ricerca sui vaccini e racconta da Oltreoceano come sta lavorando a un vaccino che non si inietta ma che viene rilasciato attraverso uno speciale cerotto.

Prof. Andrea Gambotto

Sta lavorando presso l’Università di Pittsburgh-Upmc alla messa a punto di un vaccino che sfrutta l’inibizione della proteina spike da somministrare poi sotto forma di cerotto. A che punto siete e come funziona?
“Abbiamo completato i primi test nel modello murino (i topi) e questi hanno dimostrato che il vaccino, somministrato attraverso un cerotto delle dimensioni di un polpastrello, produce anticorpi specifici per il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 in quantità ritenute sufficienti a neutralizzare il virus. L’articolo, apparso su EBioMedicine, rivista di The Lancet, è il primo studio ad essere pubblicato in seguito a revisione da parte di scienziati di altri istituti e descrive il potenziale vaccino contro il Covid-19. Abbiamo potuto agire molto rapidamente, poiché erano già state gettate le basi grazie a precedenti lavori eseguiti durante le precedenti epidemie di coronavirus (Sars-CoV nel 2003 e Mers-CoV nel 2014). In questo momento, stiamo finalizzando i documenti necessari per ottenere le autorizzazioni da parte della FDA (Food and Drug Admnistration) e procedere quindi, appena possibile, con la sperimentazione sull’uomo”.

Se il vaccino dovesse essere efficace sull’uomo, sarebbe in grado di garantire anche la copertura dell’eventuale mutazione nel tempo del Covid-19 o dovrebbe essere adattato volta per volta?
“I modelli animali non sono stati ancora valutati sul lungo termine, ma è importante sottolineare come i topi, ai quali è stato somministrato il vaccino contro il Mers-CoV, hanno prodotto un livello anticorpale sufficiente a neutralizzare il virus per almeno un anno. Questo arco di tempo è uguale a quello già esistente per altri virus come ad esempio quello influenzale”.

Altre realtà lavorano ad un vaccino puntando sulla stessa metodica. Potrebbero essere approvati più vaccini dall’agenzie regolatorie?
“A quanto mi risulta, altre istituzioni nel mondo stanno studiando un vaccino per Covid-19. È in assoluto un bene che Centri di ricerca lavorino ad un vaccino per contrastare questa pandemia. Se avremo oltre 10 studi validi, siamo sicuri che almeno un vaccino funzionerà”.

La frontiera dei farmaci antivirali, più che decennale, ha dimostrato che è possibile inibire la replicazione virale. Perché non si è riusciti ancora a contrastare questa famiglia dei Coronavirus di cui fa parte il Covid-19?
“Perché sino ad ora i ‘coronaviruses’ non sono stati considerati una priorità nel settore della ricerca ed i fondi stanziati sono stati esigui. Questo è cambiato con Covid-19”.

Da italiano all’estero, secondo lei, la classe medica italiana si è dimostrata all’altezza di fronteggiare questa emergenza sanitaria? E le manca il nostro Paese?
“Io considero la classe medica italiana di ottimo livello. Io stesso mi sono formato all’Università di Bari e ho avuto ottime basi nel settore della medicina per poter poi intraprendere la strada della ricerca a Pittsburgh. Questa emergenza sanitaria è stata una durissima prova prima in Cina e poi nel nostro Paese. Tanti medici e infermieri si sono adoperati per curare le migliaia di persone contagiate, mettendo a rischio anche la propria vita. L’Italia certamente mi manca, ma ho modo di venire a visitare la mia terra, la Puglia e la mia famiglia. Con i Centri di Upmc in Italia (Ismett e la Fondazione Ri.Med) abbiamo progetti di collaborazione e quindi, anche se sono fisicamente negli Stati Uniti, parlo spesso la mia lingua e dialogo con medici e ricercatori al lavoro nella nostra penisola”.

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