Cibo e intestino: come la dieta influenza il microbiota e le sue attività. I risultati di nuovi studi scientifici

Il rapporto tra alimentazione e microbiota è stato al centro della Summer school organizzata a Torino dall’Istituto “Quantitative and Quantum Dynamics of Living Organisms – Center for Medicine, Mathematics and Philosophy Studies”

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Torino, 7 novembre 2019 – Numerosi fattori, in parte già individuati, sono in grado di influenzare in maniera significativa non soltanto le caratteristiche del nostro microbiota, ma soprattutto il rapporto mutualistico che contraddistingue la coesistenza tra noi e i batteri che vivono dentro di noi.

Una dieta ad alto contenuto di calorie, grassi, zuccheri, la troppa igiene, l’abuso di antibiotici e la continua esposizione ad inquinanti ambientali stanno riducendo sensibilmente la biodiversità del nostro microbiota determinando la riduzione progressiva di specie batteriche amiche e la crescita di batteri nemici responsabili di infiammazione sistemica.

La dieta è sicuramente uno dei tanti fattori che influenzano lo sviluppo e la maturazione del microbiota e che possono interferire sia con la sua composizione che con le sue attività.

Nel corso degli anni abbiamo assistito ad un cambiamento importante della nostra alimentazione, passando da un’alimentazione più semplice e a maggiore azione prebiotica, ovvero di nutrimento del nostro microbiota, ad un’alimentazione industrializzata caratterizzata da una eccessiva presenza di acidi grassi saturi, carboidrati raffinati e ridotta assunzione di fibre. Da un’alimentazione “pro-microbiota” siamo passati verso un’alimentazione “anti-microbiota”.

Come dimostrano gli studi pubblicati di recente, non è soltanto il tipo di dieta ad influenzare le caratteristiche qualitative e quantitative del nostro microbiota, ma soprattutto la qualità del cibo che ingeriamo.
A tal proposito, recenti evidenze sottolineano come ad esempio gli emulsionanti, additivi alimentari che si trovano negli alimenti per prolungarne la conservazione e la freschezza, possono influenzare negativamente il microbiota intestinale e l’integrità della mucosa intestinale, contribuendo all’insorgenza di patologie metaboliche ed infiammatorie.

In particolare, Carol L. Roberts et al, hanno dimostrato già nel 2013 l’esistenza di correlazioni specifiche fra un aumentato consumo di emulsionanti e l’incidenza di malattia di Crohn: questi composti, sarebbero in grado di determinare importanti modificazioni del microbiota e della permeabilità intestinale, promuovendo l’insorgenza di colite.

Nel 2015 un altro gruppo di ricercatori conferma i precedenti dati dimostrando che concentrazioni relativamente basse di carbossimetilcellulosa e polisorbato-80 sono in grado di indurre una sindrome infiammatoria e metabolica di basso grado e di colite. La sindrome metabolica indotta da emulsionanti era associata a un cambiamento nella composizione del microbiota e ad un aumentato potenziale pro-infiammatorio.
La somministrazione dei due emulsionanti, alla stessa concentrazione che ritroviamo in molti alimenti (1%), riduce significativamente lo spessore dello strato di muco, modificando così la permeabilità intestinale.

Il rapporto tra cibo e microbiota, queste e altre novità scientifiche sono state al centro della Summer school organizzata a Torino lo scorso settembre dall’Istituto di ricerca “Quantitative and Quantum Dynamics of Living Organisms – Center for Medicine, Mathematics and Philosophy Studies”, con il patrocinio della Società Italiana di Biologia sperimentale e del Politecnico di Torino. Questo evento scientifico è culminato con il convegno “The human brain seen from multiple perspectives” in cui esperti internazionali si sono confrontati su rapporto tra intestino-cervello, architettura e geografia del cervello, coscienza e comportamento, farmaci psicotropi, stress e reti neurali sottolineando la possibilità di utilizzare un’integrazione probiotica mirata con specifici ceppi batterici probiotici, con l’obiettivo di migliorare le funzioni cognitive, di ridurre i livelli di stress e di ansia, di migliorare il nostro umore e attenuare i sintomi della depressione.

Il microbiota
Ha importanti funzioni: per esempio, trasforma in molecole assimilabili sostanze che altrimenti non lo sarebbero, come le cartilagini e le molecole di cellulosa, e sintetizza sostanze indispensabili, come la vitamina K, che svolge un ruolo essenziale nella coagulazione del sangue. Questi microrganismi, presenti all’interno dell’intestino in un numero elevatissimo, compreso tra 1013 e 1014 si nutrono di zuccheri che l’essere umano mangia.

Poiché il microbiota svolge funzioni molto importanti per l’organismo, un’alterazione significativa della sua ricchezza in termini di biodiversità batterica, intesa come riduzione di alcune specie benefiche e crescita di specie batteriche nemiche, può contribuire allo sviluppo di patologie gravi.

L’alterazione della sua biodiversità è correlata ad alterazioni della risposta immunitaria oltre che di un carico infiammatorio cronico sistemico in grado di compartecipare all’insorgenza ad esempio di sindrome dell’intestino irritabile, obesità, patologie autoimmuni, patologie cardiovascolari e neurodegenerative come la malattia di Alzheimer e il morbo di Parkinson oltre che di alterazioni del tono dell’umore come ansia e depressione.

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