Artrite reumatoide, farmaci biotecnologici per migliorare la qualità di vita

Nel primo anno la capacità lavorativa diminuisce del 33%, ogni anno persi 39 giorni lavorativi. PDTA efficaci per prevenire danni permanenti e ridurre i costi indiretti. In Italia, il 24,1 % dei pazienti vive in una condizione di disabilità severa contro il 3,9% della Francia e l’8,7% dell’Irlanda

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Roma, 19 settembre 2017 – Si tiene oggi a Roma il Convegno ‘Artrite Reumatoide: migliorare le aspettative, insieme è possibile’. L’obiettivo è mettere a fuoco con tutti gli stakeholder le azioni e gli strumenti per migliorare la vita dei pazienti e le ricadute di una patologia invalidante sul sistema paese.

Il caso specifico dell’Artrite Reumatoide e dei suoi 400mila pazienti italiani, di cui il 75% donne, è emblematico: la capacità lavorativa viene intaccata nel giro di 5 anni dall’insorgenza della malattia, con un calo del 33% già dal primo anno, fino ad arrivare ad una perdita del 50% in 10 anni; 39 giorni lavorativi persi in media in un anno da ogni paziente e circa 11mila euro l’anno la perdita stimata in media per paziente dovuta a ritardi al lavoro, permessi, presenteismo.

“E’ fondamentale un percorso diagnostico terapeutico per il malato reumatico, che abbia 3 principi fondamentali: diagnosi precoce e tempestiva, presa in carico e cure adeguate e mirate con l’obiettivo di un miglioramento della qualità della vita” afferma la Presidente dell’Associazione Malati Reumatici-ANMAR, Silvia Tonolo.

“Nove pazienti su 10 affermano che l’AR è impattante negativamente sulla propria vita, 5 su 10 ritengono di sentirsi esclusi dalla società. Negli ultimi anni l’introduzione di nuovi farmaci ha cambiato in meglio la qualità di vita dei pazienti, con ricadute positive anche sui costi indiretti, legati al danno permanente”, prosegue Tonolo.

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Prof. Mauro Galeazzi

Dei 99 milioni spesi tra il 2009 e il 2012 per la previdenza sociale dei malati di Artrite, il 54% è stato versato per pensioni di invalidità. Sintomi come fatica e dolore continuano ad essere i maggiori ostacoli dei pazienti sul luogo di lavoro, anche se la malattia impatta praticamente in tutte le attività quotidiane, a partire dalle cure personali.

Sino a pochi anni fa tra il 32 e il 50% dei pazienti perdeva il lavoro entro dieci anni dalla diagnosi. Le terapie più recenti disponibili sono invece in grado di migliorare la capacità lavorativa, di diminuire il dolore e raggiungere l’obiettivo della remissione.

“Da circa 20 anni i malati reumatici e i reumatologi stanno vivendo un momento eccezionale e pieno di speranze anche per il futuro – sottolinea il prof. Mauro Galeazzi Docente di Reumatologia all’Università di Siena – Dopo 100 anni di terapie, per lo più chieste in prestito da altre discipline, quasi sempre inefficaci e spesso pericolose per la salute, sono arrivati i farmaci biotecnologici che hanno cambiato non solo la storia naturale della artrite reumatoide. Infatti diagnosi precoce, terapia tempestiva e misurata sul paziente con obiettivo la remissione, prevenzione della disabilità e quindi della cronicità nella invalidità, sono obiettivi raggiungibili nell’AR e in tutte le malattie croniche infiammatorie. Purtroppo L’Italia è ancora terzultima in Europa nella prescrizione di farmaci biologici, seconda soltanto a Grecia e Portogallo”.

Tuttavia, per raggiungere questi obiettivi c’è bisogno di organizzazione e, in questo senso, la rete territoriale assistenziale integrata, che mette funzionalmente insieme strutture di primo, secondo e terzo livello, e i PDTA rappresentano gli strumenti più idonei.

“Ove questo tipo di organizzazione sia stato attuato, il consultivo dell’utilizzo dei farmaci biotecnologici è stato straordinario sia sul piano dei risultati clinici che su quello del risparmio economico – prosegue il prof. Galeazzi – Risultati che sono ben descritti in letteratura: remissioni sempre più numerose e durature nel tempo della malattia, impedimento della comparsa del danno articolare o blocco della sua progressione, riduzione della disabilità e della cronica invalidità, abbattimento dei costi indiretti legati alla disabilità (Anis A Rheumatology 2009), riduzione del numero e durata dei ricoveri,  miglioramento della qualità della vita con riduzione del numero delle giornate lavorative perse”.

“A questo si aggiungono il più frequente recupero dell’attività lavorativa per riacquisizione dell’abilità a compiere il lavoro (work ability), la riduzione degli interventi di protesi (Olofson T ARD-2010) e la riduzione della mortalità sia  generale che per problematiche cardiovascolari (Low AS ARD 2016,) sino alla cost-effectiveness degli agenti biologici in modelli e studi di farmacoeconomia in termini di Qaly con un ICER (Incremental Cost-Effectivenes-Ratio) al di sotto della soglia dei 50.000 Euro. (Joensuu JT Plos One 2015)”, conclude Galeazzi.

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