La mortalità per infarto non si è modificata durante la pandemia. Studio pubblicato su Lancet

Prof. Gabriele Guardigli, direttore della Cardiologia dell’Aou di Ferrara: “È fondamentale sia chiaro a tutti che: in caso di dolore toracico oppressivo che dura oltre 10 minuti, associato o meno a sudorazione o fatica a respirare, bisogna chiamare il 118”

Ferrara, 7 aprile 2021 – Uno studio condotto dalle Cardiologie dell’Ospedale di Cona e dell’Ospedale Maggiore di Bologna (sotto l’egida dell’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale) ha analizzato i dati relativi all’infarto in periodo di pandemia nelle strutture ospedaliere di tutta la regione Emilia-Romagna.

Lo studio – pubblicato sull’importante rivista scientifica “Lancet”, a cura di Gianluca Campo (Cardiologia Ferrara) e Gianni Casella (Ospedale Maggiore di Bologna) – ha messo in evidenza una confortante conclusione: la mortalità per infarto non si è modificata durante la pandemia. Tuttavia, il numero di accessi in ospedale si è ridotto, soprattutto nei mesi di marzo e aprile 2020, a causa della “paura” delle persone di entrare in ospedale e venire contagiati. Infatti i dati dello studio sono importanti perché servono a contrastare questo atteggiamento: gli ospedali rimangono un luogo sicuro e l’unico posto dove patologie tempo-dipendenti possono ricevere le cure necessarie.

“La pandemia e la situazione di emergenza legata al Covid, che ormai perdura da oltre un anno, e stata caratterizzata, nelle sue prime fasi, da un minor ricorso della popolazione ai servizi sanitari ospedalieri; non solo per cure programmate ma anche in urgenza. Questo è stato dovuto alla “paura” della popolazione di rivolgersi, anche per situazioni importanti, all’ospedale. Ciò è stato accompagnato, da parte di chi si occupa di salute pubblica, ad una certa preoccupazione relativamente all’impatto di tale fenomeno sullo stato di salute della popolazione”, dichiara la dott.ssa Elda Longhitano, direttore sanitario dell’Aou di Ferrara.

Da sin: Gabriele Guardigli, Elda Longhitano, Gianluca Campo

“In tale contesto si inserisce lo studio “AMI-Co” che ha analizzato i dati relativi all’infarto in periodo di pandemia nelle strutture ospedaliere di tutta la regione Emilia-Romagna – prosegue Longhitano – I dati di questo studio sono particolarmente importanti perché servono a lanciare un messaggio: gli ospedali rimangono un luogo sicuro e l’unico posto dove patologie tempo-dipendenti possono ricevere le cure necessarie”.

Lo studio “AMI-Co” (Acute Myocardial Infarction during Coronavirus disease) raccoglie i dati della rete ospedaliera dell’Emilia – Romagna ed è l’unico ad aver analizzato elementi da una rete integrata, con percorsi di cura standardizzati e omogenei nel territorio. I risultati sono completi e tracciano l’intero percorso di gestione della patologia infarto miocardico.

Lo studio osserva, nell’ambito della popolazione, l’andamento da gennaio 2017 a giugno 2020 di:

  • accessi in ospedale per infarto;
  • mortalità a 30 giorni dei pazienti ricoverati per infarto in ospedale;
  • mortalità per infarto a domicilio.

Lo studio ha documentato che, come nel resto del mondo, anche in Emilia – Romagna il numero di accessi in ospedale per infarto miocardico si è ridotto, soprattutto nei mesi di marzo e aprile 2020. La nota confortante è che tutti i pazienti che in ogni modo sono stati ricoverati hanno ricevuto il miglior trattamento possibile e non si è notata alcuna differenza tra il 2020 e gli anni precedenti; di conseguenza anche la mortalità a 30 giorni dopo infarto miocardico non è stata differente. Questi dati affermano che la rete regionale per l’infarto ha retto all’urto della pandemia e i pazienti con infarto miocardico hanno continuato, anche nei mesi più difficili del lockdown, a ricevere le cure migliori per le conoscenze odierne.

I dati regionali mostrano che gli accessi in ospedale per infarto si sono ridotti rispetto allo storico (anni 2017-2019) del 20%, dal 22 febbraio 2020 al 13 maggio 2020. Nel mondo è stato segnalato un incremento di mortalità dei pazienti con infarto durante la prima pandemia. In Emilia-Romagna e a Ferrara, chi si è recato in ospedale è invece stato curato adeguatamente e la mortalità è rimasta quella storica e attesa.

Però l’analisi rivela anche un dato negativo: nei mesi di marzo e aprile 2020 si è osservato un incremento significativo dei decessi a domicilio per infarto. Si tratta di decessi non collegati al Covid ma che riguardano, verosimilmente, persone che avevano sintomi suggestivi per infarto ma sono stati riluttanti – causa pandemia – a chiamare il 118. Quindi si può ipotizzare che la riluttanza a recarsi in ospedale abbia poi portato a un esito infausto.

Questi dati sono molto importanti per la popolazione, in quanto mettono in evidenza che, pandemia o meno, nel sospetto di dolore toracico di origine cardiaca, l’unica cosa da fare è chiamare il sistema emergenza (118) e recarsi in ospedale. Solo l’ospedale e la rete per l’infarto può garantire un trattamento adeguato e tempestivo.

In Emilia-Romagna la rete per la cura dell’infarto miocardico acuto è uno dei punti di forza del Sistema Sanitario Regionale. La rete include: il servizio emergenza 118, i Pronto Soccorso, gli ospedali spoke e gli ospedali hub con laboratorio di emodinamica, per garantire a tutti i residenti la migliore cura possibile nel minor tempo.

Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha imposto una pesante riorganizzazione del Sistema Sanitario e della rete ospedaliera, con conseguenti ripercussioni per la gestione delle malattie “non COVID-19”. Fin dai primi mesi della pandemia, sono stati resi pubblici molteplici evidenze che segnalavano una significativa riduzione degli accessi in ospedale per patologie quali l’infarto miocardico, lo scompenso cardiaco, la chirurgia d’urgenza e, in alcuni casi, anche dei tumori.

Alcuni dati segnalavano anche una maggiore difficoltà nella gestione dei pazienti che venivano ospedalizzati per malattie non COVID-19, come ad esempio l’infarto del miocardico acuto, con segnali poco incoraggianti per un incremento di mortalità.

Anche nella nostra provincia, purtroppo, nei mesi di marzo e aprile 2020 il numero di accessi in ospedale si è ridotto. Annualmente la rete per l’infarto della provincia di Ferrara gestisce oltre 1.000 casi di infarto, ma nel 2020 il numero complessivo di casi si è lievemente ridoto (circa 900) e – in particolare – si è osservato un calo a marzo e aprile del 15% circa, con recupero graduale nei mesi successivi.

La nota positiva è che la seconda ondata di pandemia (riferito ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2020) non si è associata a un altro calo. A Ferrara, come nell’intera regione, la mortalità per infarto non si è modificata durante la pandemia. I pazienti con la forma più grave di infarto hanno continuato a essere trattati con l’angioplastica primaria e ricoverati in UTIC (Unità Operativa di Terapia Intensiva Coronarica), mentre i casi meno gravi sono stati sottoposti a coronarografia ed eventuale angioplastica coronarica entro le 24-48 ore previste dalle linee guida internazionali e dai protocolli istituzionali.

A Ferrara, inoltre, anche la rete dei controlli ambulatoriali è stata garantita. Infatti i pazienti con recente infarto o con scompenso cardiaco grave non possono saltare i controlli ambulatoriali, che sono necessari per verificare lo stato di salute, adeguare la terapia ed evitare recidive e ospedalizzazioni. L’ Unità Operativa di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara ha continuato a garantire tutti i servizi per questi pazienti; così si spiegano i buoni dati in termini di mortalità.

“La rete provinciale dell’infarto è un punto di orgoglio per tutti i professionisti coinvolti (Ospedale di Cona, Ospedali periferici della rete, laboratorio di emodinamica e servizi ambulatoriali per il follow-up) e un punto di riferimento per i cittadini. La rete, attiva dal 2002, negli anni si è sempre ottimizzata e aggiornata per garantire le migliori cure possibili a tutti. La tremenda pandemia che ci ha colpito non ha scalfito l’efficienza di questo sistema, anzi ne ha ulteriormente dimostrato la solidità. Come cardiologi siamo veramente dispiaciuti che alcuni pazienti siano deceduti perché hanno avuto paura di recarsi in ospedale”, dichiara il prof. Gabriele Guardigli, direttore della Cardiologia dell’Aou di Ferrara.

“È fondamentale sia chiaro a tutti che: in caso di dolore toracico oppressivo che dura oltre 10 minuti, associato o meno a sudorazione o fatica a respirare, bisogna chiamare il 118. Solo il servizio di emergenza ha professionisti esperti e preparati che possono discriminare la gravità dei sintomi ed eseguire l’elettrocardiogramma. Inoltre, i cittadini devono sapere che l’ospedale è un luogo sicuro. I percorsi per il trattamento delle varie patologie sono chiari e distinti da quelli dei pazienti con Covid-19”, conclude Guardigli.

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